L’agenzia dell’Anp Wafa è molto scrupolosa. Ieri ha riportato un bel po’ di notizie dalla Cisgiordania: il ferimento di manifestanti da parte di soldati israeliani, intimidazioni dei coloni ai contadini palestinesi, un aggiornamento del numero di positivi al coronavirus, le previsioni del tempo, la qualificazione della nazionale di calcio alla Coppa Araba grazie alla vittoria sulle Comore e anche l’accordo firmato dal presidente della Federcalcio Jibril Rajoub con l’Associazione degli scout del Qatar. Notizie da Dura? Neppure una. Eppure, in quella cittadina alle porte di Hebron ieri migliaia di palestinesi hanno partecipato in un’atmosfera di rabbia e profondo dolore ai funerali di Nizar Banat, l’oppositore del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) morto poco dopo essere stato brutalmente arrestato nella sua abitazione. La moglie ha raccontato che 25 agenti delle forze speciali dell’Anp hanno fatto saltare la porta di casa, quindi hanno afferrato Banat, lo hanno bastonato con violenza, denudato e trascinato via. Banat è morto poco dopo all’ospedale Alia di Hebron. «Le sue condizioni di salute sono improvvisamente deteriorate», ha spiegato un funzionario della sicurezza, facendo pensare a un infarto o qualcosa di simile e non invece che è stato ammazzato di botte come è ben chiaro e noto a tutti. Ed è quasi superfluo sottolineare che la Wafa si è guardata bene anche dal riferire della serata di scontri giovedì sera a Ramallah tra manifestanti e polizia, con feriti e arresti, seguita all’uccisione di Banat. E che la folla scandiva: «Il popolo vuole la caduta del regime», come gli egiziani urlavano a Hosni Mubarak nel 2011, e «Abbas, Abbas vattene».

Sull’accaduto è stata aperta un’inchiesta alla quale non crede nessuno. Intanto si è saputo per quale motivo nella notte tra mercoledì e giovedì gli agenti dell’Anp hanno fatto irruzione nell’abitazione di Banat. Il «pericoloso oppositore» avrebbe rivolto frasi ingiuriose al premier Shttayeh, ha spiegato un funzionario dell’Anp. Qualcuno aggiunge che Banat, che si era candidato alle elezioni annullate da Abu Mazen nelle scorse settimane, ha fatto imbestialire la leadership presentando un appello all’Unione europea per il blocco dei finanziamenti all’Anp sino a quando non si svolgeranno le consultazioni legislative e presidenziali in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. «Reati» tanto gravi da meritare un pestaggio durissimo e la morte. L’autopsia sul corpo di Banat ha evidenziato segni di violenza e riscontrato fratture multiple.

La contestazione di Abu Mazen, della sua autorità e del ruolo del suo entourage non ha mai raggiunto un livello così alto tra i palestinesi. «La misura è colma – dice al manifesto l’analista Hamada Jaber – l’accaduto e gli arresti sempre più frequenti di oppositori, dissidenti, giornalisti e di coloro che criticano l’Anp, danno la misura del regime a cui hanno dato vita il presidente Abbas e chi gli sta intorno». Tuttavia, aggiunge, «la stabilità dell’Anp non è a rischio perché non c’è una forza di opposizione ampia ed organizzata che può guidare una campagna per ottenere le dimissioni di Abbas. (Il movimento islamico) Hamas è forte ma in Cisgiordania è schiacciato tra le forze di sicurezza dell’Anp e di Israele». Jaber spiega che anche dentro Fatah, il partito guidato da Abu Mazen e spina dorsale dell’Anp, «ci sono quadri che criticato la leadership ma sono esclusi dagli organismi direttivi (di Fatah) da tempo sotto il controllo del presidente e dei suoi uomini».

In condizione di anonimato, non pochi palestinesi descrivono Abu Mazen, 85enne e ammalato, come la faccia di un «regime dittatoriale» che oggi è controllato da esponenti «senza scrupoli» dell’Anp e Fatah. Come il capo dell’intelligence Majdi Faraj, con stretti rapporti con la Cia e i servizi israeliani, il ministro per i rapporti con Israele Hussein Sheikh, l’uomo forte di Fatah ed ex capo della sicurezza preventiva Jibril Rajoub e anche il premier Shttayeh. Ieri nei social girava una intervista del 2011 in cui Abu Mazen assicurava che non sarebbe rimasto al potere di fronte a una contestazione pubblica, anche di poche decine di palestinesi. Nel frattempo, ha cambiato idea.