«D[/ACM_2]eponete le armi, iniziate a parlare e andate alla radice del conflitto», sono le parole del Segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki-Moon in visita nei territori occupati. In videoconferenza da Ramallah nel corso della riunione del Consiglio di Sicurezza su Gaza, Ban ha esortato «tutte le parti a unirsi allo sforzo internazionale per porre fine ai combattimenti».

«Il mio messaggio a israeliani e palestinesi è lo stesso, basta combattersi, iniziate a parlarvi. Le operazioni militari non favoriranno la stabilità di Israele», ha aggiunto Ban. Il Segretario generale, ai margini di un incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, condannando i lanci di razzi dalla Striscia di Gaza, ha chiesto a Israele di esercitare il «massimo autocontrollo». Ban ha però stigmatizzato «l’uso di siti civili (scuole, ospedali e moschee) da parte di Hamas per scopi militari».

Dal canto suo, Netanyahu ha usato la conferenza stampa per rilanciare le accuse di «terrorismo», rivolte ad Hamas. «È come Isil (jihadisti iracheni, ndr), al Qaeda e Boko Haram», ha ripetuto il premier israeliano, capovolgendo il corso degli eventi e accusando Hamas di essere responsabile delle vittime civili di Gaza.

Secondo fonti palestinesi, i nodi da sciogliere per il cessate il fuoco sono due: la fine dell’embargo su Gaza e il rilascio dei prigionieri politici palestinesi, scarcerati a seguito della liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit e nuovamente arrestati da Israele nelle scorse settimane. I servizi di Intelligence palestinesi avrebbero chiesto al segretario di Stato Usa John Kerry di «garantire formalmente» il rilascio dei prigionieri e la liberazione del quarto gruppo di detenuti palestinesi, prevista nell’ambito dei negoziati e bloccata da Israele.

Hamas percepisce i bombardamenti su Gaza come la battaglia definitiva che sancirà la sua fine politica e o la sua futura esistenza. Per questo, il movimento palestinese non è pronto a cedere su nulla, consapevole della fine poco lusinghiera che hanno fatto i Fratelli musulmani egiziani dopo essere scesi a patti con l’esercito egiziano ed essere stati cancellati dalla scena politica con il golpe del 2013.

Eppure, nella sua visita al Cairo, Kerry ha appoggiato senza se e senza ma la proposta di cessate il fuoco egiziana, rilanciata ieri dal presidente dell’Anp Abu Mazen e da Fatah, ma duramente criticata da Hamas. Ai margini dei colloqui con Abdel Fattah Sisi, Kerry ha assicurato che il cessate il fuoco immediato, è necessario per salvare vite umane e deve aprire la strada a negoziati in cui si discutano le cause del conflitto.

«Una volta che sarà raggiunto un cessate il fuoco – ha aggiunto – siamo sicuramente pronti a discutere e lavorare sull’incredibilmente complicata questione sottostante che ha portato a questa crisi». Difendendo il diritto israeliano all’autodifesa, Kerry ha chiesto che si ritorni al cessate il fuoco del 2012, negoziato dall’ex presidente Mohammed Morsi.

Kerry ha annunciato che gli Stati uniti hanno deciso di destinare 47 milioni di dollari (quasi 35 milioni di euro) in aiuti a Gaza, attraverso fondi straordinari all’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) e a Usaid.

In Egitto, continua a suscitare polemiche la mancata riapertura permanente del valico di Rafah.
Nonostante i media ufficiali parlino di migliaia di palestinesi in transito sono solo poche decine i feriti che da Gaza hanno raggiunto l’ospedale di Al-Arish. Inoltre, un convoglio umanitario, guidato da centinaia di attivisti, è stato bloccato ad un check-point impedendo che aiuti umanitari e medicinali venissero consegnati ai nosocomi di Gaza.
Anche il Segretario generale della Lega araba Nabil al-Arabi ha chiesto una «lunga tregua umanitaria» per evacuare i feriti da Gaza. «Hamas vuole la fine dell’assedio su Gaza, l’iniziativa egiziana chiede l’apertura dei valichi di Gaza, che significa porre fine al blocco», ha detto al-Arabi.

A schierarsi per una soluzione alternativa della crisi, più vicina alle sensibilità di Hamas, è ancora una volta la Turchia. Ankara ha criticato l’appiattimento europeo sulle posizioni di Israele, con le visite negli ultimi giorni dei ministri degli Esteri francese Laurent Fabius e italiano Federica Mogherini in Medio oriente.
Il golpe in Egitto e il mancato intervento internazionale in Siria hanno raffreddato le relazioni tra Turchia e Stati uniti. E così, il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha ammesso di non avere contatti con il presidente Usa Barack Obama da oltre cinque mesi.