Bisognerebbe parlare con i bambini di quello che avviene fuori dalla scuola ogni giorno. Di tutto quello di cui loro sentono l’esigenza di parlare. E’ quello che cerco di fare e di testimoniare ogni settimana, da diversi anni, nella mia rubrica su Il manifesto intitolata «I bambini ci parlano». Ma ci sono casi speciali in cui è impossibile non ascoltare e parlare con i bambini di quello che arriva da fuori dalla scuola. La realtà, attraverso la forza dei media, irrompe in modo dirompente anche nella vita scolastica e i bambini riportano le notizie apprese dalla tv o dai grandi. Come docenti non si può fingere di essere sordi o voltarsi dall’altra parte. Meglio parlarne insieme. Farli parlare. Rispondere alle loro domande.

Nel caso dell’attentato terroristico a Parigi, si sono riproposte tematiche simili a quelle a cui ogni docente italiano aveva già assistito dopo l’attentato terroristico delle torri gemelle negli Stati Uniti. Primo tra tutti: l’islamofobia. Avendo a che fare da anni con classi multietniche, ancora una volta, in queste settimane, ho assistito al disagio, all’imbarazzo, al senso di colpa soprattutto dei bambini di fede musulmana.
Mi dite bene cosa avete sentito bene dai vostri genitori o in tv? «C’è stato un assassino. Ha fatto una bomba e dopo ha ucciso dei francesi». «E’ successo a Parigi, l’ho visto in tv». «Ho visto delle donne che piangevano». «Io ho visto che dopo hanno fatto la marcia della protesta». «Ma li hanno presi i…». «Sì, hanno ucciso gli assassini». «Sono stati i terroristi». Mi dite chi sa cosa sono i terroristi? «Sono quelli che uccidono». «Sono i cattivi». «Erano quelli che non credono in Dio, in Gesù…».

Occorre farsi raccontare dai bambini ciò che sanno perché spesso è ciò che hanno capito di quanto sanno o credono di sapere. Come è d’altra parte per gli adulti. Occorre confrontare la loro narrazione, spesso schematica e sbagliata, con la narrazione mediatica, che spesso, in questi casi, è altrettanto schematica, semplificata, errata. Occorre poi, come docenti e come adulti, rassicurare i bambini e promuovere quel dialogo che è l’antidoto numero uno a ogni piccola grande violenza.

Concludo con una poesia dell’amico filastrocchiere Bruno Tognilini, che ho utilizzato spesso con bambini e adulti per iniziare una discussione insieme dopo aver ascoltato brutti fatti di cronaca legati a guerre, terrorismo, atrocità varie. Eccola: La guerra è una bambina / che non vuole cose matte / solo alzarsi alla mattina / non col sangue, col latte.