Qualcuno dice che è la prima volta che nella storia di Roma che l’insediamento del consiglio comunale avviene con la piazza del Campidoglio blindata da un cordone di polizia. I manifestanti della rete Decide Roma, coi lavoratori del canile della Muratella e più giù quelli della Ibm organizzati dalla Cgil che rischiano di perdere il posto di lavoro sono stati bloccati sulla scalinata. «Gli appelli di questi giorni rivolti al sindaco Raggi affinché intervenisse sulla Questura sono rimasti lettera morta. Un pessimo biglietto da visita per una amministrazione che ha la pretesa di rappresentare il nuovo in questa città», protesta Rifondazione comunista. L’unico, piccolo momento di tensione, tuttavia, si respira dentro alle porte dell’aula Giulio Cesare. Si vorrebbe i giornalisti relegati nella protomoteca, a seguire i lavori su un maxischermo. Dentro, un pubblico variopinto di bambini, genitori, anziani e attivisti ad attendere l’arrivo dei 29 consiglieri del Movimento 5 stelle. Alcuni sono vestiti da cerimonia, altri hanno telecamere e macchine fotografiche con teleobiettivi per immortalare l’esordio sui banchi dell’assemblea del proprio beniamino. Il cronista che cerca di infilarsi in questa folla da prima comunione viene interrogato dal personale: «Di quale onorevole è ospite?». Basta qualche insistenza per far ammettere al personale del Comune che non è esattamente un bel segnale. Ed ecco che gli argini saltano: nella torrida sala del consiglio si mescolano gli operatori dell’informazione e i tifosi del nuovo corso.

Si avvicina a loro l’eroina del momento, Virginia Raggi, discesa dallo scranno più alto. Fa segno con le mani di porgerle il suo bambino, che fa accomodare direttamente al suo posto per la gioia del circo mediatico. Il presidente d’aula è il più votato, il suo antagonista interno Marcello De Vito. Abbronzatissimo e raggiante. Si tiene la mano sul cuore quando gli altoparlanti, ad inizio seduta, intonano l’inno nazionale. Legge la formula di rito chiamando Raggi «la sindaca». Qualcuno dal pubblico si interroga («Ma alla fine, se po’ di’ sindaca? Nun è na parola inventata?»). La partecipazione viene messa a dura prova durante lo svolgimento delle prassi burocratiche (qualche palpebra dei supporters cala sotto il peso della democrazia rappresentativa e dei suoi riti ). Ma conosce qualche sussulto quando il presidente De Vito invita ad «alzare la mano» senza specificare per cosa si stia votando: viene redarguito da un consigliere della destra e dal pubblico si muove un brusio: «E dai su, e che sarà mai? Si capiva lo stesso!».

A destra i consiglieri si accomodano in mezzo ai buchi e ai tanti posti vuoti. Siede a sinistra la blindatissima maggioranza grillina. Siedono a sinistra i sette consiglieri del Pd. Siede a sinistra il candidato sindaco di Sinistra Per Roma Stefano Fassina, che si intrattiene sorridendo con l’assessore all’urbanistica e alle infrastrutture Paolo Berdini. Sarà lo stesso Fassina a presentare una delle prime mozioni, «per impegnare la sindaca ad indire un referendum sui costi e benefici derivanti dallo svolgimento delle Olimpiadi e per valutare l’eventuale conferma della candidatura ai Giochi olimpici del 2024». Fassina propone di indire un voto in coincidenza del referendum costituzionale previsto per il prossimo autunno.

Raggi esordisce citando due sindaci di giunte di sinistra: «In questa stessa aula, l’ormai scomparso sindaco Luigi Petroselli nel suo discorso di insediamento rievocava con forza il principio e il sentimento dell’umiltà, raccogliendo l’eredità di un altro gigante della storia capitolina, Giulio Carlo Argan, in segno del rispetto verso il suo alto e ineguagliabile rigore intellettuale e morale». Spiega di aver voluto tenere la delega al personale per mantenere un rapporto diretto coi dipendenti dell’amministrazione, con quell’esercito al quale Grillo mesi prima del voto aveva promesso lacrime e sangue. Lei chiede loro «costanza e determinazione» e promette «ascolto e vicinanza». Ai suoi fianchi i membri della giunta. Spiccano Daniele Frongia, che si è dimesso da consigliere per assumere una carica di vicesindaco con forte peso politico, e il dirigente Consob e supertecnico Marcello Minenna, che oltre alla delega al bilancio e alle risorse economiche ha ricevuto quella al patrimonio e l’incarico di riorganizzare le aziende partecipate. Non c’è più il rugbista Lo Cicero, nominato «ambasciatore dello sport» ma di fatto espulso in zona Cesarini. «Lavoreremo per introdurre un nuovo alfabeto – dice Raggi – parole come merito, trasparenza, legalità, solidarietà dopo anni di buio e abbandono. Lavoreremo per i nostri figli e per i figli dei nostri figli. E lo faremo, avendo le mani libere da ogni compromesso». La piazza del Campidoglio assolata fa da contraltare ad una città che, pochi gradini più giù, consuma il caos quotidiano. In attesa della rivoluzione promessa.