La versione hip hop di Independance Cha Cha, con il video retroafrique molto chic che l’accompagnava, lo ha consacrato come il più brillante artista “congo-belga” di ultima generazione. Baloji – che domani sarà all’Auditorium Flog di Firenze nell’ambito del festival Musica dei Popoli -, non ama sentirsi né troppo congolese in Belgio né troppo belga a Kinshasa.

Viceversa si trova a suo agio con l’hip hop, il reggae e tutto il resto, ma anche il pane e rumba congolese con cui lo hanno cresciuto in famiglia non gli è indifferente, a giudicare dai sontuosi impasti vocali che ogni tanto piazza nei suoi pezzi.

Oltre alla canzone di Joseph Kabasele che appunto celebrava l’indipendenza congolese dal Belgio appena raggiunta, ripresa brillantemente nel suo secondo disco Kinshasa Succursale. Il salto di qualità, dopo l’esordio di Hotel Impala, con lo zampino ma non troppo di Damon Albarn. Baloji in lingua swahili vuol dire “stregone”, ma il nostro Baloji non sembra avere il profilo del marabutto, somiglia di più a uno di quei simpatici, elegantissimi sbruffoni che popolano i romanzi di Alain Mabanckou.