C’è movimento in scena, mentre il pubblico prende posto sulla gradinata delle Fonderie Limone di Moncalieri per l’inaugurazione del festival Torinodanza. Un gruppetto di persone in nero sistema le ultime cose nello spazio. C’è un grosso cavalletto, da cui parte un braccio con telecamera, un plastico con un trenino, tavoli, uno schermo centrale.
Sta per iniziare Kiss and Cry, creazione collettiva su idea originale della coreografa belga Michèle Anne De Mey e del regista Jaco Van Dormael. Una piccola magia tra cinema, danza e teatro. La prima immagine che appare sullo schermo è un tavolo. Vi danzano due mani, un duetto di piccoli passi amorosi tra una lei e un lui. Intanto, sul palcoscenico, la macchina cinematografica/teatrale si rivela. Telecamera, braccio e cavalletto scivolano su un carrello verso il tavolino. Dietro Anne Michèle e Grégory Grosjean sono i silenti artefici di una NanoDance (così è chiamata dagli autori), il duetto amoroso con le mani. Davanti a loro c’è Julien Lambert, cura in diretta la ripresa delle immagini che vediamo sullo schermo, segue gli intrecci seduttivi tra dita e polsi: con la camera è come se danzasse.

Noi spettatori, intanto, siamo già tornati bambini. Guardiamo lo schermo o seguiamo la macchina dei sogni che ci appare dentro la scena? Lo sguardo danza di qua e di là ed è presto stregato da altre sorprese. Il tavolino sulla destra ha un cassetto: contiene un paesaggio innevato, con bamboline di uomini e donne. Chi sono? Li osserviamo sullo schermo, che ce li fa scoprire grandi, li guardiamo nel cassetto e sono minuscoli punti nel bianco. Una voce fuori campo accompagna l’immagine con una storia: «ci sono persone che sono scomparse e che non vedremo più. Persone che abbiamo amato e poi dimenticato, persone a cui pensiamo ogni giorno. Dove sono? Da qualche parte, caduti in un vuoto della memoria». La memoria, la nostra, quella che ci fa tornare bambini, come se riavessimo in mano le nostre casette delle bambole o i nostri trenini, è anche una memoria adulta, con il suo bagaglio di dolore, scomparse, domande irrisolte.

Kiss and Cry, bacio e pianto, ci ha ormai tirato con sé. Siamo pronti alla storia di Gisèle: una donna, seduta di fronte a un treno che passa, anche lei è una piccola statuina, la voce fuori campo racconterà i suoi amori. Altri passi a due con le mani, danze sul ghiaccio ballate con dita che sembrano gambe sfreccianti sui pattini, voli in paesaggi circensi, pieni di luci e altalene. I testi che accompagnano lo spettacolo, di Thomas Gunzig, per Torino tradotti in italiano, non lasciano dubbi: Kiss and Cry non è solo un trucco teatrale, entra nell’anima con i suoi uomini in miniatura, i paesaggi desertici, dove ritrovarsi, forse, dopo la morte, con chi abbiamo amato.

La sincronicità tra film proiettato sullo schermo e visione delle riprese è un viaggio onirico tra realtà e immaginazione che riflette sul tempo che passa, sulla forza del ricordo, sulla morte, su quello che ci lascia la vita. Un’esperienza iniziata quasi per caso in un attico, dove danzatori, coreografa, filmmaker, cameraman, scenografi, musicista hanno portato giocattoli, mobili in miniatura, oggetti, creando storie d’umanità su un accompagnamento sonoro tra Vivaldi e Handel, Ligeti e Cage, Prévert e Gershwin. Lo spettacolo è del 2011 ed era già stato a Torinodanza 3 anni fa: un tale successo che il festival lo ha riportato nell’attuale edizione.