Oltre quattro ore di udienza e due di camera di consiglio non sono bastate ai giudici costituzionali per arrivare a una decisione sulla legge elettorale. La tanto attesa sentenza sull’Italicum sarà comunicata oggi intorno alle 13.
Tredici sono anche i componenti del collegio, perché è ancora assente per motivi di salute il vice presidente della Consulta Criscuolo e non è stato sostituito (dal parlamento) il giudice Frigo. Su ogni punto di sospetta incostituzionalità della legge elettorale, allora, i giudici potranno decidere a maggioranza e non si rischia il pareggio (caso in cui decide il voto del presidente).

Le arringhe di attacco all’Italicum dei diversi avvocati ammessi al dibattito – ben sette – e le difese dei due avvocati dello stato hanno lasciato poco tempo per il confronto a porte chiuse tra i giudici. Da qui la decisione di dividere in due la camera di consiglio (la seconda metà questa mattina) e rinviare la comunicazione sull’esito. Decisione inconsueta, perché spezza l’isolamento dei giudici e li espone a nuove pressioni dall’esterno. Si spiega così l’irritazione verso gli avvocati che si sono troppo dilungati, a tratti sbottata, del presidente Paolo Grossi, che allo scopo di chiudere in giornata aveva liberato l’udienza da tutte le altre cause: «Lei sta abusando della nostra pazienza», «evitiamo concioni para politiche».

Non che i giudici non abbiano già abbondantemente esaminato il caso dell’Italicum e dei cinque ricorsi sollevati dai tribunali di Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova tra febbraio e novembre dell’anno scorso. La lunga giornata di udienza non ha offerto argomenti nuovi rispetto alle memorie depositate da tempo dalle parti ed esaminate dai giudici privatamente, e collettivamente nella pre-seduta di lunedì. La memoria del giudice relatore Nicolò Zanon e l’andamento del dibattito di ieri aiutano però a fare qualche previsione sull’esito.
Zanon – nominato alla Consulta da Napolitano, già componente del Csm in quota centrodestra – è stato uno dei più acuti critici della sentenza 1/2014 della Corte sul Porcellum – giudicata «un vulnus all’incidentalità del sistema di giustizia costituzionale» – che è il precedente richiamato da tutte le richieste di incostituzionalità dell’Italicum. Ha escluso in passato che la Corte possa sindacare la congruità di una soglia per il premio di maggioranza (come viene chiesto oggi da chi attacca il 40% anche al primo turno), si è pronunciato contro le liste bloccate dell’Italicum e in favore delle preferenze. Adesso è lui, con la sua relazione, a orientare il dibattito in camera di consiglio. Nell’intervento in udienza ha dato conto delle ragioni di tutte le parti, evidenziando le cinque questioni che i tribunali hanno sollevato sul premio di maggioranza. Soprattutto quella avanzata in anticipo da Torino (e poi dagli altri) sull’irragionevolezza del ballottaggio. Che resta il punto a maggior rischio dell’Italicum, destinato in questo modo a trasformarsi in una legge elettorale proporzionale con soglia di sbarramento al 3% e soglia premio al 40% (premio del 15% in seggi) difficilmente raggiungibile per un solo partito.

A questo punto meno sicuro è il sacrificio delle pluricandidature, il secondo elemento considerato a rischio perché criticato da tutti i ricorsi. Zanon ha trovato modo di spiegare come proprio il fatto che il capolista «bloccato» (cioè sicuro dell’elezione) corra in tanti collegi (fino a dieci), dovendone però alla fine sceglierne uno, allarghi lo spazio per i candidati scelti con le preferenze. Se la Corte decidesse di salvare anche questo punto dell’Italicum, potrebbe lasciare al parlamento l’adozione di un metodo più oggettivo per la scelta del collegio: per esempio il pluricandidato andrebbe eletto laddove la lista ha conseguito meno voti di preferenza.

È in evitabile, infatti, che per quanto autoapplicativa in astratto, la legge per la camera che verrà fuori dalla decisione dei giudici, in rapporto con quella del senato, chiamerà un successivo magari limitato intervento del parlamento. Le camere però dovranno attendere almeno una ventina di giorni la pubblicazione delle motivazioni.
Nella relazione di Zanon hanno trovato meno spazio le richieste di incostituzionalità piena dell’Italicum, proposte dal tribunale di Messina e rinvigorite dalla bocciatura della riforma costituzionale. In dibattimento l’avvocato coordinatore dei ricorsi Besostri e altri hanno chiesto alla Corte di pronunciarsi sul procedimento che ha portato all’approvazione dell’Italicum, giudicato incostituzionale per via del ricorso agli emendamenti canguro e a tre voti di fiducia. Mentre l’avvocato Acquarone ha insistito sulle conclusioni del tribunale di Genova, che ha deciso il ricorso non con semplice ordinanza ma con una sentenza (di primo grado): sulla base della giurisprudenza della Corte questo dovrebbe escludere ogni tentazione di chiudere la porta ai ricorsi giudicandoli inammissibili. Come invece ha continuato a chiedere l’avvocato generale dello stato Massimo Massella, insistendo sul fatto che non essendo ancora stato applicato l’Italicum non può aver leso i diritti di nessuno.
L’accoglimento anche solo di una delle undici questioni di incostituzionalità da parte della Consulta, dunque, risulterebbe come una bocciatura per la presidenza del Consiglio. La vecchia più ancora della nuova.