Goffredo Bettini, il presidente Zingaretti fa un atto d’accusa contro la spartizione correntizia degli incarichi nel Pd.

Non posso essere che d’accordo con lui. Sono tre anni che, in splendida solitudine, dico che il Pd è ormai in gran parte autoreferenziale, balcanizzato da gruppi di potere, personalismi e correnti a canna d’organo. Tante energie, che continuano, comunque a militarvi sono impossibilitare a esprimersi e contare.

Con questi presupposti, il congresso riuscirà a cambiare qualcosa?

Io penso che il congresso serva proprio a ricostruire un soggetto politico in grado di fornire agli iscritti e a tutti I cittadini una nuova rappresentanza politica. Dal ’92 sono crollati i partiti di massa, che erano l’architrave della Repubblica. A quella crisi Berlusconi ha dato una risposta, distorta e che non mi piace, e tuttavia una risposta. La cultura della sinistra e del campo democratico, invece, si è piegata all’idea che andare al governo sarebbe stato sufficiente per trasformare gli orientamenti, il senso comune, le idee nella società. Così non è stato. Oggi ci troviamo a mezz’aria, senza la nostra terra e senza il nostro cielo, e cioè senza la società e senza un nostro sguardo e una nostra visione sul mondo. Ora dobbiamo sfruttare l’occasione del congresso per passare dalla denuncia a una nuova proposta. E certo non è il caso di Zingaretti, ma francamente tanti, tantissimi che hanno vissuto dentro la logica correntizia o hanno sostenuto in questi anni il gruppo dirigente di Bersani, oggi improvvisamente scoprono la necessità di un rinnovamento. Hanno una capacità trasformistica davvero impressionante. E lo dico per evitare che il grido di dolore si trasformi nell’ennesima posizione facile, di rendita politica e opportunismo.

Renzi, Veltroni, Bersani, tutti si scagliano contro le correnti. Ma la pratica correntizia è ancora pane quotidiano nel Pd.

Quelli che oggi si scagliano contro le correnti in un modo o nell’altro ne hanno fatto parte. Credo di essere il solo, nel vecchio coordinamento politico, a non aver mai aderito a una corrente. Come si sa, fui io a promuovere la candidatura di Marino a segretario nel 2009. Ma dopo il congresso non ho mai messo piede nella sua componente.

Qual è la via d’uscita?

Da molto tempo sono convinto che per sradicare queste pratiche occorre trasformare il Pd in un grande campo di tutti i democratici. Le divisioni sono funzionali alla conservazione di gruppi dirigenti che vogliono vivere di rendita e mantenere i loro orticelli di potere. Abbiamo ottenuto le più grandi vittorie quando ci siamo affidati ad una empatia unitaria dei nostri elettori. A Milano, Torino, Bologna, Napoli, Cagliari, Genova, e sono fiducioso oggi anche a Roma, i ragionamenti politicistici sulle appartenenze sono stati superati dalla saggezza del popolo democratico che ha scelto senza pregiudizi le persone migliori per svolgere la funzione di sindaco e aprire una fase di buona politica nelle città in alternativa alla destra. Così è stato per i referendum, così può essere anche nella costruzione di un’alternativa nazionale: un grande campo che possa assumere le sue decisioni ricostruendo un rapporto vero con le persone, nell’esercizio della loro responsabilità politica individuale. Per questo penso a forme di democrazia deliberante, dove attorno ai grandi temi, attraverso procedure trasparenti, regolari, agili e condivise, i nostri iscritti contribuiscano in modo determinante a decidere le scelte e indicare gli indirizzi necessari. Questa è la rivoluzione che realmente permette di superare intercapedini burocratiche, paralisi delle decisioni e a sedimentare una nuova cultura politica e una mescolanza tra le varie sensibilità, da quelle più radicali e di sinistra a quelle più moderate.

Epifani per ultimo si è adeguato al metodo spartitorio?

Certo la composizione dei gruppi dirigenti verso il congresso risente enormemente di questo cattivo stato delle cose. Che però viene da anni di pratiche sbagliate sulle quali c’è stato troppo silenzio. Per questo, da tempo, ho lasciato ogni incarico di partito, ho dato battaglia, ma con pochi compagni di strada. Oggi siamo già dentro il congresso, e per Epifani era inevitabile, forse quasi inevitabile, tener conto di questa frantumazione. La responsabilità non è sua. Anzi, si sta muovendo con uno stile di rispetto, ascolto positivo ed efficace.

Lei ha detto di non aver mai aderito alla componente di Marino. Certo lei oggi è uno dei principali sostenitori della sua candidatura a Roma.

Ci ho creduto dall’inizio. A Roma ci voleva un’innovazione politica e Marino la rappresenta. È un irregolare, un uomo libero, ha il coraggio di portare avanti le sue idee senza condizionamenti e in dissonanza con il clima stanco e ripetitivo della politica corrente. Poi Marino, anche perché è un medico, è attento al dolore delle persone; e sappiamo quanto a Roma oggi occorra pensare alla vita quotidiana dei cittadini, alla loro fatica, alle delusioni, spesso alla loro mancanza di prospettive. Lo dico spesso: pensare meno a Roma e più ai romani; nutrire meno l’ego della città e più i cittadini. Marino lo sta facendo e ho fiducia che dopo la splendida vittoria del primo turno possa diventare sindaco.

Anche l’ex sfidante Marchini, vicino all’imprenditore Caltagirone, oggi chiede discontinuità per Roma. Ne è soddisfatto?

La discontinuità certo non la può garantire il sindaco uscente. La garantisce chi in questo momento ha sulle spalle la responsabilità di rappresentare il 70 per cento dei romani che hanno chiesto un cambiamento.