Se l’Arabia saudita con la decapitazione dell’iman sciita Nimr al Nimr e la rottura delle relazioni diplomatiche con l’Iran intendeva lanciare un siluro al “nuovo ordine” regionale figlio dell’accordo sul nucleare tra Iran e Occidente, richiamare all’ordine l’Amministrazione Obama, aggravare il settarismo religioso in Iraq, Bahrain e Libano, affondare un possibile accordo in Yemen e sabotare i negoziati sulla Siria che l’Onu vorrebbe cominciare a fine gennaio, allora ha raggiunto, almeno in parte, i suoi obiettivi. Una guerra tra Tehran e Riyadh appare una ipotesi al momento improbabile – gli iraniani sono militarmente più forti ma sanno che in caso di conflitto gli Usa si schiereranno con gli alleati sauditi e salterebbe l’accordo sul nucleare e per la fine delle sanzioni economiche -, è probabile invece che si allarghi lo scontro sunnita-sciita in altri Paesi. Le prese di posizione dei leader nordafricani e mediorientali, successive alla decapitazione di al Nimr, riflettono schieramenti settari noti da tempo e, in definitiva, lo schema tracciato dalla stessa Arabia saudita quando ha annunciato, qualche settimana fa, la sua “coalizione antiterrorismo” che esclude l’Iran e altri Paesi a maggioranza sciita. La tensione è alta dove vivono sunniti e sciiti insieme. A cominciare dal Bahrain dove un movimento popolare da anni reclama con forza riforme politiche e uguaglianza tra la minoranza sunnita al potere e legata alla monarchia al Khalifa e la maggioranza sciita. Nel 2011, con l’aiuto di truppe scelte inviate dall’Arabia saudita, il re del Bahrain mise fine nel sangue al presidio democratico di Piazza della Perla, a Manama. Si teme un nuovo intervento armato contro chi condanna l’esecuzione di al Nimr e la chiusura dei residui spazi di libertà in questo piccolo arcipelago del Golfo che ospita importanti basi militari occidentali. Ne abbiamo parlato al telefono con la giornalista Reem Khalifa, da anni impegnata sul fronte dei diritti umani e politici, a capo della redazione di al Wasat, l’unico quotidiano indipendente del Bahrain più volte preso di mira dalla autorità.

 

 

Qual’è il clima che si respira in queste ore a Manama e nel resto del Paese

 

Molto teso, come nei giorni scorsi, quando la popolazione ha appreso della decapitazione di Nimr al Nimr. La rabbia è esplosa ovunque perchè qui nessuno si attendeva che la monarchia saudita mettesse in atto l’esecuzione del leader sciita. A ciò si aggiunge il fatto che al Nimr non aveva mai istigato a una opposizione violenta contro il potere centrale e si limitava ad organizzare manifestazioni per i diritti della comunità sciita in Arabia saudita.

 

 

Cosa hanno mandato a dire i sauditi

 

Oltre ai riflessi strategici, l’uccisione di al Nimr ha voluto anche mettere in chiaro che le autorità saudite non intendono accettare o tollerare opinioni diverse.

 

 

Quindi un messaggio diretto anche al Bahrain

 

Ovvio. L’Arabia saudita ha rivolto un invito ai principali alleati a sostenerla nella sua decisione di interrompere le relazioni diplomatiche con l’Iran e il Bahrain ha risposto subito richiamando l’ambasciatore a Tehran. Certo anche l’Iran esercita la sua influenza in Bahrain ma il ruolo dell’Arabia saudita è decisamente più pesante, più invasivo. A questo punto potrebbero aggravarsi le politiche (repressive) che (in Bahrain) hanno colpito dopo il 2011, attivisti dei diritti umani come Nabil Rajab e tanti oppositori, spesso giovanissimi. In questo Paese, ci ricorda Amnesty International, ci sono 4 mila detenuti politici, due sciiti sono nel braccio della morte e la loro esecuzione potrebbe avvenire in qualsiasi momento e innescare forti reazioni.

 

 

Lo scontro settario che l’esecuzione di al Nimr sta alimentando, quanto peserà sul movimento bahranita per le riforme e l’uguaglianza, che vede impegnati gli sciiti ma anche non pochi sunniti

 

L’impatto di ciò che sta accadendo sarà sulla società nel suo insieme. Ho letto (dopo l’uccisione di al Nimr, ndr) tweets preoccupanti inviati da esponenti sunniti che chiedevano apertamente di passare alle vie di fatto, di rimuovere dal governo i ministri con “origini persiane” e di revocare la cittadinanza a determinate categorie di cittadini. Troppi spingono per far salire la tensione e, evidentemente, per preparare il terreno a nuove misure da parte delle autorità che non vanno certo nella direzione del rispetto dei diritti e delle libertà. Se non addirittura a un nuovo intervento militare esterno come quello del 2011. Un clima pericoloso per tutti i bahraniti che come me credono nella libertà di pensiero, di espressione, nella stampa libera, in un Paese per tutti i suoi cittadini. Obiettivi che il popolo del Bahrain peraltro ha sempre detto di voler conseguire in modi pacifici.

 

 

Cosa potrebbe evitare l’escalation

 

Un passo diplomatico esterno. Putroppo però l’Unione europea, gli Usa, le Nazioni Unite si limitano a diffondere comunicati preoccupati sulla situazione dei diritti in Bahrain e non esercitano pressioni concrete sulle autorità di questo Paese. Pesa nella nostra condizione il ruolo che il Bahrain ha negli assetti strategici della regione. Ospitiamo la base della V Flotta statunitense e da poco abbiamo riaperto la base navale britannica. Questi interessi finiscono per oscurare tutto il resto e a pagare è il nostro popolo.