Dalla famiglia tradizionale alla «cultura del gender», dalle unioni omosessuali al fine vita. Nella sua ultima prolusione al Consiglio episcopale permanente (cominciato ieri a Roma) prima di lasciare la presidenza della Conferenza episcopale italiana, come in una sorta di testamento – non biologico -, il cardinale Angelo Bagnasco elenca e richiama i temi che hanno caratterizzato il suo decennio alla guida dei vescovi italiani. A maggio infatti l’Assemblea generale sarà chiamata ad eleggere – per la prima volta nella storia della Cei, il cui presidente è stato sempre nominato direttamente dal papa – la terna di vescovi che verrà presentata a Francesco perché individui il successore.
L’occasione, quindi, era imperdibile: ora o mai più, perlomeno da capo dell’episcopato italiano. E Bagnasco non la manca.

Dopo un breve accenno a crisi economica e mancanza di lavoro soprattutto per i giovani e al sud (temi anch’essi spesso presenti nelle prolusioni degli ultimi anni), snocciola quelli che erano i «principi non negoziabili» dell’era Wojtyla-Ratzinger, a cominciare dalla vita come «bene indisponibile», demolendo dalle fondamenta la legge sul testamento biologico in discussione in Parlamento: è «radicalmente individualistica, adatta a un individuo che si interpreta a prescindere dalle relazioni, padrone assoluto di una vita che non si è dato», afferma il presidente della Cei. «La categoria di “terapie proporzionate o sproporzionate” si presta alla più ampia discrezionalità soggettiva», e «si rimane sconcertati vedendo il medico ridotto a un funzionario notarile, che prende atto ed esegue, prescindendo dal suo giudizio in scienza e coscienza». La conclusione: «La morte non deve essere dilazionata tramite l’accanimento terapeutico – affermazione che potrebbe sembrare un passo avanti rispetto ad alcune vicende del recente passato -, ma neppure anticipata con l’eutanasia», di cui peraltro nel ddl non si parla.

Quindi la famiglia, «fondata sul matrimonio e aperta alla vita», costantemente sotto attacco da «un certo pensiero unico» che «continua a denigrare l’istituto familiare e a promuovere altri tipi di unione», nonché a «presentarla come un modello superato o fra altri, tutti equivalenti». E se la legge sulle unioni civili fa ormai parte dell’ordinamento dello Stato, c’è sempre il rischio che qualcuno provi a rilanciare il tema delle adozioni anche da parte delle coppie omosessuali. Pertanto Bagnasco ribadisce «il diritto dei figli ad essere allevati da papà e mamma, nella differenza dei generi che, come l’esperienza universale testimonia, completa l’identità fisica e psichica del bambino». Chi agisce diversamente, «nega ai minori un diritto umano basilare» che «non può essere schiacciato dagli adulti, neppure in nome dei propri desideri», magari facendo ricorso alla «pratica della maternità surrogata», che altro non è, secondo il presidente della Cei, «una violenza discriminatoria verso le donne».

Infine non manca l’attacco alla «cultura del gender»  nelle scuole con cui «si banalizza la sessualità umana ridotta ad un vestito da cambiare a piacimento». Bagnasco rilancia le parole più volte pronunciate da papa Francesco, che su questo tema non ha mai mostrato intenzioni di analisi più approfondite e complesse: «Indottrinamento della teoria del gender» e «inaccettabile “colonizzazione ideologica”». E invita docenti e genitori alla vigilanza attiva: «nessuna iniziativa, come nessun testo che promuova concezioni contrarie alle convinzioni dei genitori, deve condizionare lo sviluppo affettivo armonico e la sessualità dei minori».