Fu un terremoto di gioia, festeggiamenti e colpi di piccone. Ma come tutti i fatti storici e politici, sono le angolature a fare la differenza. Per molti, dalla parte perdente del muro, arrivò la scossa che pose fine a un’epoca. Il Muro cadde a furor di popolo e la sinistra, in tutte le sue accezioni, faticò a capire la potenza di quel furore capace di destabilizzare un sistema fondato sul controllo e la paura.

Eppure, per i più, nei comunismi d’Occidente, il Muro era caduto da tempo: era caduto nella coscienza profonda dei militanti e dei dirigenti di quegli stessi partiti comunisti d’Occidente che, fino all’ultimo, fino a quel novembre dell’’89, non furono in grado di fare i conti con le proprie nevrosi politiche ed ideologiche (comunisti nella Nato che aggrediva rivoluzioni comuniste, comunisti nelle larghe intese e nelle solidarietà nazionali, comunisti nella gestione della repressione alle insorgenze sociali comuniste degli anni 70).

Il più grande partito della sinistra, che visse l’89 come una liberazione dalla nevrosi che lo attanagliava da Yalta in poi, rimase impreparato e stupito dalla rapidità di quei processi. Leggendo la stampa della sinistra riformista e quella ufficialmente comunista di quegli anni, possiamo notare oscillazioni che vanno dal plauso all’angoscia del vuoto, dalla preoccupazione per gli assetti geopolitici futuri alla speranza per una nuova Europa. E’ mancata la comprensione della portata destabilizzante di quegli stravolgimenti, è mancata la comprensione dell’origine strutturale di quel crollo, della maturazione in corso da anni di una insanabile incompatibilità tra i mutamenti dei rapporti di produzione e la rigidità delle forme di governance diffuse in più della metà della sfera terrestre. Soprattutto, non si riuscì a cogliere la portata del rinculo della pistola in mano alla conservazione neoliberista in fase montante; un rinculo che colpì fatalmente, per dirla con Rossanda Rossanda, “più che un comunismo che in Europa occidentale non c’è mai stato, (…) una certa interpretazione keynesiana che ha caratterizzato le costituzioni europee post-belliche”.

In ritardo nel comprendere gli avvenimenti e nel coglierne il riverbero sul futuro prossimo, in ritardo nel produrre visioni alternative alla via sbagliata al comunismo che ha governato miliardi di persone sotto l’insegna della bandiera rossa, la sinistra è stata travolta senza saper reinterpretare le domande e le esigenze originarie, nella loro riattualizzazione dentro le nuove forme dello sfruttamento, delle sue figure sociali di riferimento. In ritardo, o accomodata a garantire transizioni ordinate.

Per questo e di questo vogliamo discutere tra le generazioni del Muro e quelle cresciute con le sue macerie, vogliamo discutere dei nuovi muri che quella caduta ha generato, soprattutto in Europa, e di come abbatterli; intendiamo, inoltre, confrontarci sulla qualità della democrazia progressiva e sulla urgenza di ritrovarci ancora nell’evocazione dello spettro dell’utopia e di pratiche comuni di giustizia sociale.

Ci vediamo l’11 novembre alle 17.30 presso “industrie fluviali” per parlarne con Massimiliamo Smeriglio, Norma Rangeri, Fausto Bertinotti, Marta Bonafoni, Amedeo Ciacchieri, Michela Cicculli, Massimiliano Fiorucci, Maria Pia Pizzolante.

*Movimento civico per Roma