Alla fine degli anni ’20 la capitale del noir non era Chicago e neppure New York: era Berlino. Quattro milioni di abitanti, una spaccatura verticale tra la città ricca a ovest e quella proletaria a est, notti tanto trafficate quanto nella Barcellona dei momenti migliori, la cinematografia più avanzata d’Europa, un vulcano di creatività su tutti i fronti, una sfida permanente al moralismo sessuale che indignava i bravi cittadini e anche quelli meno bravi in camicia bruna. Per le SA la capitale era un osso duro: «la città più rossa d’Europa dopo Mosca» secondo Goebbels.

ERA UNA CITTÀ VIOLENTA, con una media di cinque vittime di morte violenta al giorno. I clan criminali prosperavano, le battaglie di strada tra le squadre d’assalto naziste, le milizie comuniste del Redfrontkampferbund e quelle in divisa del governo erano quotidiane o quasi. In quella metropoli modernissima è ambientata Babylon Berlin, la serie tv che spopola in mezzo mondo, e ancora prima i romanzi di Volker Kutscher con protagonista il poliziotto Gereon Rath da cui la fiction tedesca è tratta.

Dopo il successo della serie, al primo romanzo del ciclo è stato cambiato il titolo per uniformarlo a quello televisivo (Feltrinelli, pp. 480, euro 19, traduzione di P. Severi e R. Vitale). L’esordio di Rath era però già uscito in Italia col titolo originale, Il pesce bagnato, nel 2010, due anni dopo la pubblicazione in Germania, edito da Strade Blu Mondadori. Non aveva avuto il successo che avrebbe meritato e di conseguenza i cinque romanzi successivi con Rath (il settimo del ciclo, Moabit, arriverà a breve) non sono stati ancora stati tradotti in Italia. Kutscher non è il primo autore ad adoperare il noir come chiave per raccontare la Germania di Weimar e poi del nazismo. Lo avevano fatto già in molti. Solo per citare i più noti e recenti l’inglese Philip Kerr, l’americano Paul Grossmann, il polacco Marek Krajevski.

MA PER TUTTI la consapevolezza di come sarebbe andata a finire, dunque della vittoria nazista, della guerra e della Shoah, ha condizionato l’intera impostazione narrativa. Kutscher, 56 anni, ex giornalista di Colonia, si sottrae a questa comprensibile malìa. Il suo personaggio non fa politica, cerca solo di fare carriera e di scansare l’ombra soverchiante di un padre importante, se il caso ricorre a sgambetti e slealtà varie. Un funzionario come tanti, con il suo lato scostante.
La descrizione che Kutscher offre della Berlino alla fine del breve periodo aureo della Repubblica di Weimar è dettagliata e precisa. Il punto di forza della serie tv, costata una quarantina di milioni di euro, è proprio la capacità di restituire nei particolari quella Berlino poi distrutta dalle bombe alleate. Quell’accuratezza è un riflesso di quella dello scrittore. Ma Kutscher non descrive solo piazze e strade.

METTE IN SCENA LA REALTÀ complessiva di Weimar senza farsi condizionare dalla consapevolezza del suo esito tragico. Vuole ricostruire il modo di pensare e di guardare la realtà tedesca, di un tedesco «normale», ambizioso e intelligente, non coinvolto direttamente nella guerra civile strisciante. Il romanzo è ambientato nella primavera del 1929, subito prima che la Grande Depressione creasse le condizioni per il crollo di Weimar, con 664 fallimenti e 450mila disoccupati entro la fine di quell’anno.

LE INDAGINI DI RATH si intrecciano con la cronaca del «maggio di sangue», quando il governo social-democratico vietò le manifestazioni per il primo maggio e la battaglia tra comunisti e polizia nei quartieri operai come Neukoln provocarono una quarantina di morti. Lo stacco tra il classico noir americano e quello tedesco riproposto da Kutscher sta proprio nell’inevitabile intreccio tra i temi criminali e quelli politici, con la Russia rivoluzionaria alle porte, i comunisti che nelle elezioni del 1928 avevano superato il 10%, i militari infedeli alla Repubblica, i nazisti emergenti.

IL PLOT ruota intorno a un tesoro in lingotti d’oro proveniente dalla Russia su cui vogliono mettere le mani tutti, Stalin, i comunisti russi dissidenti, gli ex agenti della polizia zarista, i nazionalisti tedeschi infiltrati nei gangli dell’esercito e della polizia, non ancora passati alla croce uncinata, la malavita berlinese. È confuso quasi quanto in un romanzo di Raymond Chandler ma il particolare è ininfluente. Come nel classico MacGuffin di Hitchcock, la trama è solo una scusa per raccontare la Berlino di Weimar al picco della sua vitalità ma già sull’orlo della tempesta.