Santarcangelo dei Teatri, quarantasettesima edizione per il festival di arti performative, teatro, danza. Curato dalla bielorussa Eva Neklyaeva, prima direttrice scelta attraverso public call, parte con piglio esplosivo (letteralmente), grazie allo show inaugurale Terra bruciata di Markus Öhrn, rito pagano a base di molotov, fuoco e cori disturbanti. Evento propiziatorio e liberatorio. Proprio la liberazione da categorie preconcette e rigidi steccati sembra essere uno dei temi guida del festival, nella distruzione gioiosa di limiti fisici e mentali. Baby Dee, polistrumentista e performer transgender, incarna perfettamente questo spirito. Il suo concerto per voce e pianoforte, un set di una quarantina di minuti in Piazza delle Monache, è al contempo intimo e irriverente (è il primo anno in cui a Santarcangelo esiste un programma musicale autonomo, seguito da Stefania Alos Pedretti e Francesca Morello). Con la sua voce, la risata squillante, la sua fisicità freak, Baby Dee esprime una grazia inaspettata, suona pezzi dall’aria sognante, che spesso mutano improvvisamente in blues grotteschi à la Tom Waits, coinvolgendo il pubblico con battute e sketch.

Merito delle grandi doti da intrattenitrice, acquisite durante le mille vite artistiche vissute da Baby Dee. Che ha iniziato a lavorare nella musica come organista in una chiesa di Cleveland, per poi trasferirsi a New York dove si guadagnava da vivere come artista di strada e circense (un suo numero è diventato celebre, lei a suonare un’arpa sopra un triciclo gigante). Nel mezzo le molte collaborazioni con Current 93, il rocker Andrea WK, Colin Stetson, Antony and The Johnsons (e in Italia la rivedremo in autunno in tour con gli Swans).

È stata proprio Antony, leader della band e anche lei transgender, a convincere Baby Dee a dedicarsi a scrivere musica propria, esibendosi in prima persona. Percorso artistico vissuto in parallelo con la trasformazione di un corpo in cui non si era mai riconosciuta. «Questa cosa l’ho sempre avuta dentro, ma per molto tempo non ho voluto credere che la questione del mio genere fosse forse l’aspetto più importante della mia identità» racconta Baby Dee. «Se non puoi sentirti a posto con come ti senti dentro, allora stai occultando una verità fondamentale di te stesso. È una cosa che deve venire fuori a un certo punto, a prescindere da tutto. Non potevo non fare questo cambiamento, non si può rinunciare all’unica cosa in grado di renderti felice».

Trasformazione che ha permesso a Baby Dee di trovare la sua voce più autentica, con l’album d’esordio Little window a 47 anni, cui sono seguiti una decina di dischi dal 2000 in poi. «Come risultato, certo, se hai fortuna, vinci la tua libertà, vinci la tua musica. Io ho provato duramente per anni a scrivere canzoni, ma non l’ho potuto fare realmente fino a quando non ho mutato il mio corpo. Mi sono finalmente sentita libera. Ma non ho affrontato questo cambiamento per sentirmi libera o felice. L’ho fatto perché non avevo scelta».

Una serenità ritrovata, che ha portato Baby Dee a lasciare gli Stati uniti («con Trump l’America è diventata cattiva») per andare a vivere in un piccolo villaggio sperduto in un’isola al largo dell’Olanda, condividendo casa e progetti con la compagna Christina de Vos, pittrice autrice tra l’altro della copertina dell’ultimo disco I am a stick. «Sai, alla fine l’amore è la risposta a qualsiasi domanda» e questa è la verità più bella che Baby Dee dal palco riesce a trasmetterci.