Da dove iniziare è persino facile. La lista dei peccati del calcio italiano è lunga. Alcuni sono stati capitali, mai trattati e quindi ingigantiti negli anni, sino al tremendo epilogo di giovedì sera, con l’Italia lontana dalla qualificazione ai Mondiali per la seconda volta di fila, incapace di andare a segno contro la Macedonia del Nord. Prima di puntare le colpe, va ricordato che a Palermo si è visto uno spettacolo avvilente. Era tutto scritto, «cristallino» come risponde Tom Cruise a Jack Nicholson in Codice d’Onore: tiro a segno senza mai avvicinarsi neppure alla porta nel primo tempo. Poi è cresciuta l’ansia, gli azzurri si sono disuniti (Paolo Sorrentino non avrà apprezzato…), la beffa macedone era nell’aria negli ultimi dieci minuti. Nella sceneggiatura della partita ha trovato posto anche la sfortuna, che nello sport ci sta tutta, i macedoni non hanno mai tirato in porta, vanno in Qatar con un tiro della domenica a tempo scaduto.

L’Italia non avrebbe dovuto trovarsi di fronte alla Macedonia, a Palermo, ai playoff per i Mondiali. Il suo girone era abbordabile, lo era la Svizzera, la stessa Macedonia. Per la nave affondata con Ventura in panchina, cinque anni fa, almeno c’era l’attenuante di una Spagna quasi galattica che vinse il girone, rifilandoci una batosta (3-0) nella partita decisiva per il primato. Per Mancini questo alibi non c’è. Ma la premessa è d’obbligo: resta il meno colpevole di tutti, è stato l’artefice di un sogno, otto mesi prima.

E PRIMA ANCORA di una ricostruzione tecnica, emotiva di un gruppo di calciatori di medio valore, tranne qualche picco verso l’alto, che è riuscito a vincere Euro 2020. Questo non può essere dimenticato, così come il successo e il titolo. Resterà come l’incredibile eliminazione con la Macedonia del Nord, che con un attaccante di medio livello sarebbe stata liquidata già nel primo tempo. Esaurendo il capitolo Mancini, che a breve rassegnerà le dimissioni (altrimenti sarebbe atteso dal limbo di un anno senza partite che contano, le prime a marzo 2023 per Euro 2024): il ct si è affidato troppo agli eroi di luglio, ai vincitori di Euro 2020. Insigne, Immobile, Berardi, forse anche Barella: titolari non all’altezza, alcuni fuori fase da mesi e ai margini della partita già in avvio. Forse avrebbe dovuto puntare prima su altri attaccanti, un problema per l’Italia che non si è palesato solo sotto la gestione dell’allenatore marchigiano. È da almeno dieci anni che il campionato non propone. ma «gli errori» di Mancini si fermano qui, anche a Palermo in alcuni frangenti del match c’erano tracce dell’idea di gioco che ha portato a tre anni di gioie, gioco, palleggio, difesa alta. Un’idea di base.

MANCANO gli interpreti. I calciatori di spessore. Solo Donnarumma e Verratti giocano in un top club europeo (il discusso Psg), così Jorginho (quel rigore sbagliato con la Svizzera al 90’ è costato certamente un pezzo di Mondiale) al Chelsea, poi ci sono gli juventini Bonucci e Chiellini, che hanno vinto, perso, conosciuto il palcoscenico che conta. L’età per loro pesa, per gli altri ha pesato la maglia, la tradizione, il peso della gara. Perché? La qualità è poca, l’esperienza ad alti livelli pure. Sono fattori che contano quando la gara ha un peso specifico elevato. Vincere aiuta a vincere. Lo sport è anche questo. Verticale, crudele.
L’Italia, dopo il Mondiale trionfale nel 2006, non ha assistito a un ricambio generazionale di spessore. Via Cannavaro, Nesta, Totti, Del Piero, Vieri. Una generaciòn dorada, come quella dell’Argentina del basket, dei vari Ginobili, Scola. Chi è venuto dopo non era all’altezza. Il sistema ha prodotto poco. E non era difficile preventivarlo. Nelle giovanili dei club di vertice c’è il 30% di italiani, si cercano sempre giovanissimi in terra straniera. Si dirà, avviene anche in Premier League. Ma in Inghilterra ci sono strutture (le academies), una mentalità diversa, anche nei top club, i giovani di qualità vanno in prima squadra a 17-18 anni, iniziano a giocare le coppe nazionali ed europee. Mettono chilometri, esperienze nel motore in un calcio intenso, veloce, dove pochi si tuffano e gli arbitri fischiano poco. In Italia non va così e si va male anche nelle coppe europee.

NELL’ULTIMO DECENNIO solo la Juventus, due volte, è arrivata in finale di Champions League, la Roma ha raggiunto una semifinale, l’Inter una volta in finale di Europa League, poi c’è stato qualche exploit parziale del Napoli, tipo sul Liverpool. Da tre stagioni l’Atalanta – idee chiare, stadio di proprietà, settore giovanile che funziona – è l’italiana, per gioco e risultati, che meglio produce in Europa. Come si cambia l’inerzia?

QUI DIVENTA DURA. C’è un vuoto culturale. Nella lotta nel fango di dirigenti, presidenti di club, la Nazionale è un fastidio. Anzi, di più. La debole federcalcio diretta da Gabriele Gravina ha chiesto mesi fa alla Lega di A di interrompere il campionato, spostare un turno in avanti per concedere qualche giorno a Mancini per preparare gli azzurri per i playoff Mondiali. Opzione respinta con perdite, a Palermo gli azzurri hanno avuto a disposizione un solo allenamento. Respinti negli anni anche gli appelli per far partire la A in linea con Premier League, Bundesliga, Ligue 1, non a fine agosto: a settembre, ovviamente, la Nazionale ha sempre fatto fatica, ha perduto punti per le due qualificazioni ai Mondiali poi fallite miseramente. Non c’è la consapevolezza che la Nazionale porta vantaggi anche ai club, non ci sono istituzioni del pallone, come la Figc appunto, in grado di incidere sul cambiamento. E colpisce come il presidente Gravina nelle 24 ore successive al tonfo di Palermo abbia fatto in tempo a garantire a tutti che non lascia la poltrona, per «difendere la Nazionale» che non ha saputo difendere in precedenza.
E quindi potranno sedersi in panchina Cannavaro con Lippi, Ancelotti, anche fenomeni come Klopp o Guardiola. Se non si prende atto del dramma dopo due Mondiali dal divano di casa e si cambia davvero pagina, con una serie di scelte nette, dalle giovanili ai top club, l’Italia non assolverà il suo compito, ovvero produrre più talenti. O meglio, campioni. E i campioni vincono le partite, i tornei, le partite da dentro e fuori.