Il braccio di ferro tra il governo e un inedito fronte Fi-Ncd prosegue per tutta la giornata. In tarda serata non si è ancora concluso. Forse oggi la commissione Affari costituzionali di palazzo Madama voterà, come previsto, il testo base della riforma costituzionale che dovrebbe rimodellare da cima a fondo il Senato. Ma più probabilmente il voto slitterà di qualche giorno o peggio.
Il pomo della discordia non è più il testo in sé, ma l’ordine del giorno che dovrebbe corredarlo. La ministra Boschi ha escluso qualsiasi modifica al progetto del governo: il testo base ha da essere quello, e poco importa se in commissione era in schiacciante minoranza. La spiegazione dell’irrigidimento è evidente: Renzi vuole arrivare alle europee sventolando l’imposizione, anche se solo sulla carta, del suo disegno. Di qui al 25 maggio quello sul testo base sarà l’unico voto. Lo scalpo da sventolare può essere solo questo.

Peccato che su quel testo la maggioranza in commissione non ci sia. Non è solo Fi, oltre al M5S, a Sel e alla Lega, a bocciare il testo di Matteo ed Elena: concordano anche i cugini separati di Alfano. Il capogruppo azzurro Romani, nel corso della trattativa con l’omologo Pd Zanda, va giù piatto: «Rispetto a questo testo, il dibattito della commissione è andato molto avanti. Io ho già convinto Berlusconi a non rovesciare il tavolo: adesso sta a voi chiarire senza ambiguità che le modifiche chieste dalla commissione verranno apportate».
Che fare? La soluzione c’è, italianissima, cioè confusa e truffaldina come tutto nella politica italiana da vent’anni a questa parte. Il testo base sarà il Renzi-Boschi, ma accompagnato da un bell’odg che dovrebbe lasciare la porta aperta a modifiche. Come dire: «La riforma è questa, ma anche no. Vedremo dopo le elezioni».

Però Fi non capisce perché dovrebbe fare un simile regalo al premier, tanto più dopo che il medesimo ha sdegnosamente rinviato a un incerto futuro l’inserimento in agenda del presidenzialismo, buttato lì come se nulla fosse domenica scorsa dall’ingegnoso ex cav. Neppure l’Ncd pare disposto a concedere un vantaggio che, di sfuggita, comporterebbe un’ipoteca seria sul prosieguo della riforma. Dunque sia Romani che Quagliariello, per una volta con toni quasi identici, si dicono disposti ad accogliere la proposta ma solo a condizione che il testo base del governo sia accompagnato da un odg tutt’altro che «aperto». Al contrario, blindato e tassativo nell’elencare le modifiche da apportare dopo le elezioni. Una trovata a sua volta parecchio bizzarra: «Questo è il testo base, ma per modo di dire».

In questa condizione è ovvio che i commissari azzurri arrivino alla vigilia dello storico appuntamento senza avere la minima idea di cosa faranno oggi, ove si arrivasse realmente al voto. «Ma se io non ho ancora visto niente di scritto!», sbotta il capogruppo Donato Bruno rispondendo a chi gli chiedeva cosa avrebbe fatto oggi. A sua volta incerta Anna Maria Bernini, pochissimo convinta che oggi si voterà alcunché. Di Lucio Malan resta agli atti, al momento, solo il recente, noto e tutt’altro che paludato commento sulla riforma di Renzi: «Una cagata pazzesca». L’unico ad avere le idee chiare è Augusto Minzolini: «Se non c’è l’elezione diretta io non voto, punto e basta. E mi convincerebbe pochissimo anche l’escamotage del listino accorpato alle elezioni dei consigli regionali». Peraltro, anche l’idea un po’ balzana di affidare le norme sull’elezione dei senatori alle singole regioni, moltiplicando i sistemi elettorali che già variano di regione in regione, è stata falcidiata da critiche tanto dure da potersi già considerare estinta.

La riforma non decollerà nemmeno oggi. Ma poco importa. Ci penseranno i media a trasformare l’ennesima frenata in folgorante accelerazione. Quando si tratta di Matteo Renzi, hanno il tocco di Mida.