tinata, dieci ore prima che la giunta per le autorizzazioni – in tarda serata – dicesse sì all’arresto, su proposta del presidente Dario Stefàno (Sel) per il quale «non c’è fumus persecutionis». Si mettono male le cose per Antonio Azzollini. La procura di Trani ha chiesto il via libera di palazzo Madama per eseguire gli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta dal discutibile titolo ’Oro pro nobis’, che sembra uscito più dalla penna di un autore di satira che dalle carte di un solerte inquirente. L’indagine riguarda il crac della Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza, con sedi a Bisceglie, Foggia e Potenza. Un buco da 500 milioni di euro, oltre 350 di debito verso lo Stato. Dieci gli arresti richiesti dalla procura, nove eseguiti – fra cui quelli di suor Marcella Cesa e suor Assunta Pulzello, finite ai domiciliari per presunta associazione a delinquere – , cioè tutti tranne quello  del senatore Azzollini, accusato di corruzione per induzione e concorso in bancarotta fraudolenta e considerato dagli inquirenti uno dei capi del  presunto gruppo di malaffare.

Dopo una riunione con il ministro Alfano, ieri al senato per una informativa ma con l’occasione ha riunito i suoi, Azzolini si è dimesso dalla presidenza della commissione Bilancio ribadendo «la totale infondatezza dei fatti giudiziari» che gli vengono contestati, ma ammettendo che la delicata commissione che presiede «ha bisogno di decisioni che richiedono dedizione assoluta e tempo pieno». Ed evidentemente dai domiciliari ai quali presto potrebbe essere costretto, non potrà occuparsi dei conti pubblici. Il gesto, tardivo e dovuto, lo ha trasformato in un eroe civile agli occhi dei suoi compagni di partito: «Le dimissioni di  Azzollini sono  un gesto di responsabilità e di alto senso delle istituzioni», è il commento di Renato Schifani. Ma anche a quelli dei senatori del Pd: «Una scelta di grande rispetto istituzionale. A prescindere dalla vicenda che lo riguarda, tutto il Parlamento dovrebbe sottolinearne il valore», è il commento del renzianissimo Andrea Marcucci. Tanto basta a mostrare che non solo il partito di Alfano cerca ancora di convincere l’alleato di governo a salvare il suo senatore, ma anche  nel Pd il mal di pancia è forte. Ora la parola passa all’aula. Quasi certo lo slittamento del voto dopo la pausa estiva.