Azuma Morisaki se n’è andato due settimane fa all’età di 92 anni. Il nome non suonerà familiare a molti dei lettori, anche a chi è appassionato o esperto di cinema giapponese, ma Morisaki è stato uno sceneggiatore e regista unico nel suo genere. Conosciuto in patria soprattutto per la sua lunghissima collaborazione con Yoji Yamada, con cui ha cosceneggiato molti lungometraggi fin dagli anni cinquanta per la casa di produzione Shochiku, Morisaki era tornato alla ribalta, dietro alla macchina da presa nel 2013 con Pecoross’ Mother and Her Days. Una commedia dolce-amara che tratta del rapporto di un figlio con l’anziana madre con demenza senile.

Morisaki nasce nel 1927 e fa così esperienza diretta della carneficina della seconda guerra mondiale, in cui perde il giovane fratello che si suicida (seppuku) il 16 agosto del 1945, un giorno dopo la resa del Giappone. Questa tragedia lo segna profondamente e l’odio verso il Giappone imperiale, spesso trasformato in sarcasmo ironico quando non acido, si ritroverà spesso nelle commedie che dirigerà lungo tutta la sua carriera. Perché Morisaki si muoverà nel cinema nipponico, in superficie almeno, specialmente attraverso i suoi kigeki eiga, commedie che in realtà nascondono nelle loro viscere sempre un’oscurità quasi nichilista. Secondo regista per Yamada e Yoshitaro Nomura, debutta dietro la macchina da presa nel 1969 con Kigeki onna wa dokyo e nel 1970 dirige uno dei due soli lungometraggi non diretti da Yamada della serie Tora-san (1969-1995). Dopo aver diretto 12 film per la Shochiku viene licenziato nel 1975, ed è forse un bene, perché fuori dalla casa di produzione di Ofuna dà sfogo a tutto il suo idiosincratico talento.

Nel 1977 realizza per la Atg un piccolo gioiello, Kuroki Taro no ai to boken (Avventure ed amori di Kuroki Taro). Girato in un bellissimo bianco e nero, il film inizia come una commedia leggera su una serie di strambi personaggi, al cui centro si trova Kuroki Taro, un simpatizzante imperialista. Il film che è praticamente senza trama e che girovaga in cerca di sé stesso, nella sua parte finale diventa una violenta rappresentazione di come gli orrori della guerra continuino a tormentare il Giappone moderno. Nel 1984 Morisaki gira Location, adattamento per il grande schermo delle memorie del fotografo Ichiro Tsuda che per anni ha girato i set dei pinku eiga durante gli anni settanta. Ma il capolavoro di Morisaki arriva forse l’anno seguente con Ikiteru uchiga hana nanoyo shin-dara sore madeyo to sengen, titolo fluviale conosciuto anche con il titolo inglese Nuclear Gypsies.

Graziato dall’interpretazione di due giganti del cinema nipponico come Mitsuko Baisho e Yoshio Harada, il film si muove a cavallo fra Okinawa e Fukui, prefettura con il maggior numero di centrali nucleari nel mondo. Ancora una volta la storia, quella di migranti minacciati dalla yakuza e costretti a lavorare nelle centrali nucleari, comincia come una farsa surreale, ma, senza mai perdere questa sua caratteristica a metà fra il comico ed il tragico, affronta di petto tematiche quali la pericolosità dell’energia nucleare, lo sfruttamento dei ceti più poveri e l’occultamento della verità, e questo decenni prima di Fukushima.
Morisaki sarebbe poi tornato, figliol prodigo, alla Shochiku, ma anche qui il suo cinema resta qualcosa di unico e sfasato rispetto al resto della scena filmica giapponese. Come ha giustamente scritto il critico Inuhiko Yomota, Morisaki «si focalizza sulla rabbia nascosta della quotidianità… e, al contrario di Yamada, sul senso di crisi della famiglia e delle persone, che sono solo idee costruite nel passato».

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