Il Passante di Mestre è una di quelle grandi opere infrastrutturali che nell’arco di pochissimo tempo si rivelano non solo inutili, ma anche dannose. Realizzato per decongestionare la A4, che collega Torino a Trieste, e far fronte «all’emergenza traffico» addirittura con l’istituzione di un Commissario straordinario, il Passante è un tratto di strada lungo 32 chilometri costato la bellezza di 1,22 miliardi di euro a fronte dei 750 milioni stimati nel 2003.

Inaugurato nel 2009, non ha mai reso economicamente quanto avevano prefissato i suoi ideatori, lasciando la società per azioni pubblica Cav – controllata dalla regione Veneto e da Anas SpA e costituita nel 2008 con lo scopo di rimborsare all’Anas circa 1 miliardo di euro anticipato per la costruzione del Passante di Mestre e delle opere complementari – con un serio problema di solvibilità. Per tale ragione si è battuto cassa all’Europa, nello specifico alla Banca europea per gli investimenti (Bei), avviando le pratiche affinché il Passante fosse ufficialmente la prima grande infrastruttura in Italia a essere sostenuta con i «project bond» europei. In questo modo si stima di rastrellare sui mercati almeno 700 milioni di euro.

Solo un anno fa la Cav aveva già ricevuto due finanziamenti pubblici: uno dalla Bei per un ammontare di 350 milioni di euro e uno di 73,5 milioni dalla Cassa Depositi e Prestiti, all’80 per cento di proprietà dello Stato italiano. Intanto, nel 2011, in una delle sue relazioni ufficiali la Corte dei Conti aveva stigmatizzato l’aumento spropositato dei costi, nonché l’assenza di controllo pubblico e il rischio di infiltrazione mafiosa.

Nel 2013 in Veneto scoppia il caso Mantovani, seguito a breve distanza dallo scandalo Mose. Proprio la Mantovani, sempre più nell’occhio del ciclone, non solo è di fatto la principale esecutrice dei lavori di costruzione del Mose, ma è anche tra i soci della società che ha realizzato il Passante di Mestre. Le indagini sul «sistema Veneto» sono tutt’ora in corso, ma appare ormai evidente il coinvolgimento di alcuni dei maggiori esponenti della politica, tanto che si è proceduto con la reclusione preventiva dell’assessore regionale alle infrastrutture Renato Chisso, e alla richiesta di arresto dell’ex-governatore Giancarlo Galan (autorizzata ieri dal parlamento), due dei principali artefici del Passante. A puntare il dito contro i politici veneti è stato l’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, che, nel corso del procedimento che lo ha portato a patteggiare nel dicembre 2013 per il giro di fatture false emesse dalla Mantovani sia per la costruzione del Mose che del Passante di Mestre, ha raccontato come la sua azienda abbia distribuito milioni di euro in cambio di «agevolazioni» sui lavori.

Nonostante il quadro fosse ormai chiaro da tempo, le spericolate operazioni finanziarie di Cav SpA sono state avallate sia dalla Giunta Regionale in carica, con due delibere, che dai suoi rappresentanti politici nel Consiglio di Amministrazione della società.

«Il vaso di Pandora ormai è stato scoperchiato» ha dichiarato Mattia Donadel, presidente dell’attivissimo comitato locale Opzione Zero. «Quello che emerge in modo chiaro e inequivocabile dalle inchieste in Lombardia e in Veneto è che il “sistema” delle Grandi Opere e del Project Financing sono pensati e strutturati unicamente per alimentare lobby politiche e affaristiche delinquenziali. Tuttavia gli arresti e i procedimenti penali in corso non fermano gli iter dei vari progetti “in cantiere”, e nemmeno le ricadute perverse delle opere già realizzate, prima tra tutte il Passante di Mestre» ha aggiunto Donadel.

Negli ultimi giorni Opzione Zero, insieme all’associazione Re:Common, ha preso carta e penna e ha scritto al Presidente della Autorità nazionale anti-corruzione Raffaele Cantone per chiedergli conto delle attività di monitoraggio svolte dall’ente da lui presieduto sulle azioni della Regione Veneto e sull’intenzione o meno di inglobare nelle indagini dell’Autorità Anti-Corruzione le operazioni relative all’emissione di project bond, nonché, visto il coinvolgimento della Bei, sulla possibilità di promuovere un’azione di cooperazione nell’ambito del network European Partner Agaist Corruption (Epac). Il tutto al fine di pretendere trasparenza dalla banca di sviluppo dell’Ue.

Ora si attende la gradita risposta di Cantone.