Arrivata quasi in concomitanza con l’annuncio dei film «fantasma» del festival di Cannes che non ci sarà, la notizia del primo lungometraggio dello Studio Ghibli dopo sei anni dall’ultimo, Quando c’era Marnie, ha portato un po’ di positività e leggerezza. Aya to majo (Earwig And The Witch) è un adattamento di una storia per bambini scritta da DianaWynne Jonnes e fa parte di quel gruppo di lavori, i soliti noti in verità, Naomi Kawase e Koji Fukada, provenienti dall’arcipelago che dovevano partecipare all’edizione di quest’anno della manifestazione francese. Aya to majo non solo non parteciperà al festival di Cannes, ma non sarà nemmeno distribuito nelle sale giapponesi, probabilmente per la situazione ancora molto delicata ed incerta in cui versano i cinema del Sol Levante. L’estate è troppo vicina e si è probabilmente cercato di evitare rischi. Il lungometraggio verrà invece trasmesso sull’emittente nazionale Nhk in inverno. Una scelta che, in una situazione completamente diversa, ricalca le orme di Umi ga kikoeru (Ocean Waves), diretto per lo studio giapponese da Tomomi Mochizuki e trasmesso direttamente in televisione nel 1993. Aya to majo è stato pianificato da Hayao Miyazaki, mentre a dirigerlo è stato suo figlio Goro, a produrlo come sempre Toshio Suzuki, personaggio spesso sottovalutato ma di cui, quando un giorno la storia dello Studio Ghibli finirà, si dovrà ammettere l’importanza.

REGISTA  Goro Miyazaki si diceva, che debuttò nel 2006 con Gedo senki (I racconti di Terramare), trasposizione di alcuni romanzi del ciclo di Earthsea di Ursula K. Le Guin. Lo stesso Miyazaki figlio realizzò nel 2014, Sanzoku no musume Ronya (Ronja, the Robber’s Daughter), una serie animata in 3DCG coprodotta dallo Studio Ghibli con la Polygon Picture e trasmessa proprio su NHK. Criticata a causa di un’animazione legnosa e poco fluida, in realtà si tratta di un lavoro assai interessante nella storia e nell’ambientazione.

LA SPERANZA degli appassionati è che Aya to majo possa ricalcare, almeno in parte, Kokuriko-zaka kara (La collina dei papaveri) e Kemushi no Boro (Il bruco Boro): vediamo il perché.
Come annunciato, Aya to majo sarà il primo lungometraggio targato Ghibli realizzato interamente in 3DCG, Miyazaki padre nel 2018 con il cortometraggio Il bruco Boro si cimentò già in questa nuova tecnica, nuova per lo studio, con successo. Poco noto, lo si può vedere solo al Museo Ghibli, questo corto è paradossalmente uno dei lavori più riusciti e che meglio si integrano ed esprimono la filosofia dello studio giapponese. Un altro motivo per ben sperare in Aya to majo, è che Miyazaki padre e figlio ritornano a lavorare con le stesse responsabilità ad un lavoro come precedentemente fatto in La collina dei papaveri. Lungometraggio che rimane uno dei più sottovalutati fra quelli realizzati dalla casa di produzione giapponese, ma che per animazione, tocco, ritmo della storia e sviluppo dei personaggi rimane uno degli esempi più lampanti della produzione Ghibli. I dubbi, o almeno le curiosità su questa nuova produzione restano; non solo la notizia ha colto molti di sorpresa, Kimi-tachi wa do ikiru ka di Hayao Miyazaki, in lavorazione da una paio d’anni doveva essere il prossimo lavoro targato Ghibli ed il primo lungometraggio in 3DCG per lo studio.
Inoltre molti esperti del settore ed appassionati, compreso chi scrive, continuano ad esprimere reticenze sul fatto che uno studio per così tanti anni legato ad un certo modo di fare animazione, possa passare con successo ed in modo fluido ad una nuova fase. Vedremo se il passaggio sarà degno dell’attesa e se l’abilità, non tanto dei Miyazaki, ma di tutti gli altri animatori e collaboratori che hanno lavorato al progetto, permetterà un salto in avanti al glorioso studio.

matteo.boscarol@gmail.com