Il senato può procedere a tagliare i vitalizi degli ex senatori, così come ha già fatto, andando avanti da sola, la camera. Ma procedendo come i deputati, i senatori dell’ufficio di presidenza rischierebbero di violare i principi fissati dalla Corte costituzionale a tutela delle legittime aspettative dei senatori in pensione. Anche se per questi ultimi, penalizzati dal taglio, sarebbe tutt’altro che facile riuscire a farsi riconoscere dai giudici costituzionali la violazione dei loro diritti. E la restituzione, con gli interessi, delle somme perdute.

Rispondendo a tre quesiti dell’ufficio di presidenza, ieri la commissione speciale del Consiglio di stato ha consegnato al senato una leggibile raccomandazione: non fatelo. Anche se ha doverosamente spiegato che l’ufficio di presidenza può procedere al taglio dei vitalizi anche con un proprio provvedimento a maggioranza (Lega-5 Stelle) senza passare per l’approvazione di una vera e propria legge nelle due camere. È il sistema con il quale è andata avanti la camera dei deputati, su impulso del presidente grillino Fico, che infatti ieri ha commentato le notizie che arrivavano dal più prudente senato: «È la dimostrazione che abbiamo agito con lo strumento adatto». Non ha detto di più, però, perché passando dal metodo al merito le osservazioni del Consiglio di stato sono assai più problematiche.

Se alla prima domanda dei senatori – serve una legge o è sufficiente un atto del consiglio di presidenza? – il Consiglio di stato ha risposto che non c’è una riserva di legge assoluta, alla seconda domanda – il taglio dei vitalizi rischia di essere incostituzionale? – ha replicato in modo da confortare gli ex parlamentari. Guardando alla giurisprudenza della Corte costituzionale, i consiglieri di stato hanno spiegato che qualsiasi intervento sulle aspettative legittime – il diritto acquisito all’assegno di quiescenza calcolato sulla base delle regole in vigore e dei contributi accantonati – deve essere fatto con criteri di «ragionevolezza rafforzata». «Non arbitrarietà, ragionevolezza e necessario bilanciamento» sono i parametri sui quali valutare il taglio retroattivo: la proposta, si ricorderà, è quella di applicare ex post e solo ai parlamentari il metodo di calcolo contributivo. La mannaia sui vitalizi, allora, «deve essere ragionevolmente proporzionata al fine che si intende realizzare». Ma il previsto sacrificio dei parlamentari non serve a dare ossigeno ai conti dell’istituto previdenziale (gli assegni non sono a carico dell’Inps ma delle camere) né incide più di tanto sui risparmi pubblici (gli uffici della camera hanno calcolato un’economia di 18 milioni a fronte di un bilancio di Montecitorio di circa un miliardo).

In definitiva per il Consiglio di stato è possibile tagliare i vitalizi solo se non si «pregiudica in modo irragionevole» la vita degli ex parlamentari, che in qualche caso perderebbero invece il 70% dell’attuale assegno. E soprattutto servirebbe «un’inderogabile esigenza di intervenire o un interesse pubblico generale». Che non sembrano esserci.
I giudici amministrativi rassicurano però i senatori sul fatto che, se adottato con delibera dell’ufficio di presidenza, il provvedimento sarà difficilmente sottoponibile alla Corte costituzionale. E in ogni caso, era la terza domanda, i componenti dell’ufficio non potrebbero essere ritenuti legalmente responsabili per un eventuale annullamento dell’atto, con conseguente diritto degli ex agli interessi. La sola domanda la dice lunga sulla convinzione a procedere dei senatori. Ma intanto i deputati lo hanno già fatto – a valere dal prossimo gennaio – e per i 5 Stelle anche quello che scrive il Consiglio di stato è solo un invito ad andare avanti.