Minacce di sfratto per l’inquilino di viale XX settembre da parte dell’azionista di maggioranza del governo. «Se non è in grado di garantire in manovra i fondi per far partire il reddito di cittadinanza già a maggio 2019, il Movimento 5 Stelle chiederà le dimissioni del ministro dell’Economia Giovanni Tria». Il messaggio filtra in mattinata da diverse fonti qualificate pentastellate e dà corpo alle parole pronunciate in diretta tv martedì notte da Luigi Di Maio, sul «grave problema» che si aprirebbe nel governo qualora ci fosse un freno alla misura di bandiera del M5s.
Succede però che già nel pomeriggio i boatos provochino l’immediata impennata dello spread – che proprio le rassicurazioni sul rispetto dei vincoli europei fatte da Tria avevano fatto calare. E così i cinquestelle fanno subito retromarcia.
Anche perché lo stesso Tria, descritto assai irritato, decide di chiamare sia il presidente del consiglio Giuseppe Conte che il vicepremier Luigi Di Maio. Ed ecco a stretto giro il dietrofront: «Avanti determinati sul reddito, ma nessuna richiesta di dimissioni di nessuno», fa sapere il leader M5s.
Ma molti parlamentari grillini in serata confermano: la pace è solo temporanea. In realtà dopo aver inaugurato, con il supporto dal Guatemala di Alessandro Di Battista, una linea più battagliera nel governo, i Cinque stelle parlano a Tria, perché anche Matteo Salvini intenda.
La freddezza verso il reddito di cittadinanza dei leghisti viene infatti letta dal M5s come un tentativo di frenare l’avvio dell’assegno (780 euro a cinque milioni di poveri) il prossimo anno, per spuntare le armi M5s nella campagna elettorale per le europee.
Ecco, dunque, la controffensiva. M5s chiede 10 miliardi per far partire centri per l’impiego e pensione di cittadinanza da gennaio, poi da maggio (per le europee si vota il 25) dare il via all’erogazione del reddito: il costo – secondo i calcoli pentastellati – sarebbe di 5-6 miliardi per gli otto mesi del 2019. Il problema non di poco conto è che tenendo, com’è orientato a fare Tria in accordo con l’Ue, il deficit all’1,6%, per le misure M5s-Lega ci sarebbero 10 miliardi in tutto, da ripartire in parti uguali.
La sortita a 5 stelle, però, fa suonare subito un campanello di allarme a via XX Settembre. Tria alza il telefono e chiede conto prima al premier, poi a Di Maio, delle indiscrezioni che filtrano dal Movimento, che suonano come un avvertimento. Tanto che secondo alcune fonti parlamentari il ministro avrebbe fatto presente che se continuano gli strappi potrebbe davvero decidere di lasciare.
Di sicuro, come ha fatto presente nel weekend da Cernobbio, il ministro ha dalla sua il suo ruolo acclarato nel placare i mercati: «È inutile cercare due o tre miliardi nel bilancio dello Stato per finanziare le riforme, se ne perdiamo tre o quattro sui mercati finanziari a causa del rialzo dello spread», ha avvertito. E Salvini sembra aver sposato, negli ultimi giorni, una linea più prudente.
Ma lui, come Di Maio, sono determinati a portare a casa il risultato. E così, mentre fa sapere di essere impegnato a placare i malumori pentastellati, il leader M5s ribadisce: «Il reddito lo facciamo. Assicurandoci di tenere i conti in ordine, ma lo facciamo». La partita è appena all’inizio.
Toccherà attendere il 27 settembre – scadenza della presentazione della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza – per capire come andrà a finire