Per la Lega senza l’autonomia differenziata non c’è il governo. Lo ha detto ieri alla Camera il capogruppo del Carroccio Riccardo Molinari alla ministra per il Sud Barbara Lezzi, che ha risposto a un’interrogazione. è la risposta a una serie di dichiarazioni rilasciate dalla ministra pentastellata secondo la quale, allo stato attuale, la riforma leghista accettata dai Cinque Stelle nel «contratto» di governo sarebbe «impraticabile» perché l’articolo cinque del dispositivo sulla distribuzione delle risorse non rispecchierebbe il dettato costituzionale.

In aula Lezzi ha ricostruito le cause che hanno fatto volare gli stracci. Nella riunione del 3 luglio scorso era stato convenuto di istituire un fondo per la perequazione, stabilito dall’articolo 119 della Costituzione. Nell’incontro dell’11 luglio il testo non è arrivato e, a parere di Lezzi, i leghisti avrebbero espresso la volontà di tornare indietro, inserendo per di più alcune norme sulla contrattazione dei docenti in base alla regione di residenza, ribattezzata «gabbie salariali» dai grillini.

Una ricostruzione, non smentita dai leghisti, che ha fatto saltare il tavolo. Domani a palazzo Chigi si prepara un’altra tesissima riunione dove i problemi restano ancora tutti sul tavolo, mentre gli «alleati» sembrano procedere in ordine sparso tra avvertimenti e messaggi incrociati. Il governatore del Veneto Luca Zaia, ad esempio, ha rinfacciato a Lezzi di essere un «perito aziendale». «Non so se sappia più dei costituzionalisti che hanno scritto il mio provvedimento» ha detto. è un numero che Zaia esibisce spesso in questi giorni: quello sulle «competenze» del suo «board» di esperti. Il governatore non cita mai i pareri negativi emersi da quasi tutti gli altri esperti ascoltati in Commissione Bicamerale per l’attuazione del Federalismo Fiscale fino all’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Gli esperti vanno ascoltati tutti. E poi fatta la tara.

Un’altra dimostrazione dei rapporti di cordiale inimicizia tra Lega e Cinque Stelle è venuta, sempre ieri, dai commenti sulla relazione della Corte dei Conti sull’autonomia. L’intervento ha rivelato i gravi problemi che la secessione dei ricchi porrebbe al coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Competenze che non sembrano facilmente «spacchettabili» e non riducibili a una mera elencazione di materie. per la Corte dei Conti è necessaria la definizione degli schemi di perequazione regionale, distinti tra spese Lep (fondate sui fabbisogni standard) e spese non Lep (basate sulla capacità fiscale). La complessità dell’operazione richiede un’«analisi costi-benefici» preventivo e un sistema di monitoraggio/rendicontazione. «I meccanismi di finanziamento non possono sottrarsi alla perequazione interregionale» ha detto la viceministra all’economia Laura Castelli, evidenziando un tema che divide gli alleati. Il problema, tecnico ma di sostanza, è stato scelto dai Cinque Stelle come ultima linea di resistenza prima della resa alla Lega. «Vogliamo l’autonomia secondo la Costituzione – ha ribadito Lezzi – Se si torna indietro a questo punto le autonomie non si fanno».

Un altro scoglio per la secessione leghista di Veneto, Lombardia, e Emilia Romagna ancora a guida Pd, è il percorso parlamentare. I leghisti lo vogliono leggero e indolore, riservandolo in gran parte a un’intesa tra le regioni e il governo. I Cinque Stelle, con il presidente della Camera Fico, lo vogliono parlamentare. Per ribadirlo Fico ieri ha incontrato la presidente del Senato Casellati e ha chiesto un iter legislativo uguale tra Camera e Senato.