Reazioni molto accese a Bruxelles, a Strasburgo e nelle capitali dei paesi fondatori della costruzione europea dopo l’ultimo strappo della Polonia, che giovedì, con una sentenza del Tribunale costituzionale ha stabilito che l’articolo 1 e 19 dei Trattati sul funzionamento dell’Unione non sono compatibili con la costituzione del paese, contestando la preminenza delle leggi europee su quelle nazionali. La posizione del Tribunale costituzionale polacco, un’istituzione sotto stretto controllo del Pis, il partito al potere a Varsavia, prelude a una Polexit giuridica di fatto.

«I nostri Trattati sono molto chiari – afferma la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen – tutte le sentenze della Corte di giustizia della Ue sono vincolanti per le autorità di tutti gli stati membri, compresi i tribunali nazionali. Il diritto europeo ha il primato sul diritto nazionale» e «useremo tutti i poteri che abbiamo» per garantirlo. Ursula von der Leyen ricorda che «tutti gli stati membri lo hanno sottoscritto» (in Polonia c’è stato un referendum nel 2003). Il commissario alla Giustizia, Didier Reynders, conferma che verranno usati «tutti gli strumenti a disposizione».

AL PARLAMENTO EUROPEO, il gruppo S&D chiede alla Commissione «di imporre immediatamente il nuovo meccanismo della condizionalità» del versamento dei fondi al rispetto dello stato di diritto, in vigore dal 1° gennaio di quest’anno, «e di aprire la procedura di infrazione contro la Polonia per aver tradito i Trattati». Per i Verdi «la Polonia ha abbandonato l’ordine legale e senza ordine legale non ci possono essere finanziamenti». Il Ppe considera che ormai Varsavia è «sulla strada della Polexit», anche se il primo ministro polacco Morawiecki afferma che il suo paese «vuole restare nella Ue». Renew chiede «la sospensione dell’esame del piano di rilancio della Polonia».

La Commissione è sotto pressione, mentre aveva deciso di approvare il piano polacco (e ungherese) a novembre, inserendo obiettivi precisi per sbloccare progressivamente i fondi, lasciandosi però la possibilità di intervenire qualora venisse constatato uno scarto rispetto agli impegni. L’arma dei finanziamenti è la più forte in mano a Bruxelles: il piano di 750 miliardi ha destinato alla Polonia 36 miliardi di euro (23,9 di sovvenzioni e 12,1 di prestiti) e adesso Varsavia chiede persino alla Ue di finanziare un muro anti-migranti. Bruxelles aspetta però, perché per il momento la sentenza del Tribunale costituzionale polacco è solo orale. Per Reynders l’analisi del piano polacco resta «un processo separato». Il Parlamento europeo aveva già minacciato la Commissione di una denuncia di fronte alla Corte di Giustizia perché non aveva ancora fatto ricorso al meccanismo della condizionalità del rispetto dello stato di diritto.

«PIENO APPOGGIO» alla Commissione arriva dalla Germania, per «usare tutti i poteri» a sua disposizione, ha detto il ministro (ancora per un po’) degli Esteri Heiko Maas, «essere membro della Ue significa che condividiamo valori comuni, i benefici di un forte mercato interno e che parliamo con una sola voce».

Il sottosegretario italiano Enzo Amendola ha espresso «forte preoccupazione». Ma la destra sovranista attacca: «Fratelli d’Italia la pensa come le Corti costituzionali tedesca, polacca e altre: la Costituzione voluta, votata e difesa dal popolo italiano viene prima delle norme decise a Bruxelles. Perché si può stare in Europa anche a testa alta, non solo in ginocchio come vorrebbe la sinistra» scrive Giorgia Meloni su Facebook tirando in ballo la sentenza della Corte tedesca di un anno fa sulla Bce. Gli risponde il leader Pd Enrico Letta: «Diversissime le due sentenze: quella di Varsavia è di principio, generale e dalle conseguenze gravi a differenza di quella tedesca che è rimasta infatti senza seguiti».

GROSSA POLEMICA in Francia, dove la contestazione della priorità del diritto europeo su quello nazionale è già argomento elettorale, a sei mesi dalle presidenziali. Il sottosegretario agli Affari europei, Clément Beaune, parla di decisione «gravissima» e di «attacco alla Ue». Ma l’estrema destra difende la Polonia: Marine Le Pen denuncia il «disprezzo» della Commissione verso Varsavia, «l’autoritarismo» di Bruxelles e promette che, se eletta presidente, farà «rispettare la primazia delle leggi nazionali». Lo sfidante Eric Zemour, il polemista televisivo che sale nei sondaggi e ha già superato la candidata del Rassemblement national pur non essendo ancora ufficialmente candidato, afferma che «è tempo di restituire al diritto francese il primato sul diritto europeo» e parla di «colpo di stato federalista» di Bruxelles.

Più sorprendente, un altro aspirante alla candidatura alle presidenziali, l’ex negoziatore Ue per la Brexit, Michel Barnier (Lr), recentemente ha affermato che la Francia deve potersi liberare dai vincoli delle sentenze della Corte di Giustizia per la politica migratoria. Anche l’ex ministro Ps, Arnaud Montebourg, ora candidato, afferma che la Francia deve fare come la Polonia. In appoggio a Varsavia è sceso in campo ieri il presidente euroscettico della Repubblica ceca, Milos Zeman: «La Polonia è sempre stata coraggiosa», la sentenza «dà speranza».