Un gruppo di donne, su un tetto, che urlano «di rabbia, frustrazione e di giustificata euforia ribelle» (nel film di Andrew Bujalski, Support the Girls) è, secondo il critico del «New York Times» A.O. Scott, l’immagine cinema emblematica del 2018. «Ero su quel tetto, in spirito», gli fa eco la collega Manohla Dargis, nel pezzo di fine anno che i due hanno cofirmato, uscito sul «New York Times» di ieri.
Niente di meglio di un viaggio nel tempo per sfuggire alla morsa deprimente dei cliché culturali del momento, e all’aria di caccia alle streghe che tira, fuori e dentro (d)allo schermo.

È UN BALZO nel passato, non nel futuro, quello proposto dalla magnifica collaborazione tra il distributore americano Kino-Lorber e la Library of Congress; un balzo all’inizio del secolo scorso, quando le donne americane non avevano ancora il diritto di voto (arrivò nel 1920), ma furoreggiavano in grande quantità dietro alla macchina da presa. Pioneers: First Women Filmmakers è un imperdibile cofanetto di sei Dvd che raccoglie –in lungometraggi, corti e frammenti, restaurati in 4K e 2K grazie a una campagna Kickstarter e all’appoggio del Women Preservation Fund – la ricchezza, l’inventiva e la sofisticatezza formale del lavoro di donne che – al cuore di un’industria che stava appena sbocciando – operavano con grande fluidità creativa, spesso in combinazioni varie di attrici, sceneggiatrici, registe e produttrici dei propri film.          

Alcuni sono nomi già noti, come Alice Guy Blaché, che dalla Gaumont, in Francia, si trasferì a Fort Lee, in New Jersey, dove fondò la sua casa di produzione, Solax Films, a un certo punto descritta come «uno degli studi meglio equipaggiati del mondo» ; o Lois Weber, negli anni ’10 sceneggiatrice, attrice e regista di punta della Universal -«il miglior uomo dello studio», la chiamava Carl Laemmle. Anche altre registe, come Cleo Madison, Ida May Park, Ann Baldwin, Elsie Jane Wilson, Ruth Stonehouse e Lule Warrenton erano impiegate dalla casa di produzione di Laemmle, che tra il 1914 e il 1919 distribuì almeno centosettanta film diretti da donne, secondo lo storico Mark Garrett Cooper, citato nel saggio introduttivo della brochure che accompagna il cofanetto, curato dalla studiosa Shelley Stamp.

Allora, racconta Stamp, le donne filmmakers erano descritte nei materiali pubblicitari della Universal come una della «meraviglie» dello Studio, che si vantava di avere nella propria scuderia «alcune delle più intelligenti e delle più belle donne in America». A Guy Blaché e Lois Weber, il box set dedica un disco ciascuna, ma nella scelta dei materiali Kino-Lorber non ha trascurato meno note registe indipendenti, come Angela Murray Gibson, che aveva una casa di produzione nel South Dakota, i Gibson Studios, e oltre a dirigere, interpretare e produrre i suoi film (come That Ice Ticket), li girava e montava da sola; e Marion E. Wong, fondatrice a Oakland della Mandarin Film Company, che nel 1916 scrisse, produsse e interpretò The Curse of Quon Gwon: When the Far East Mingles with the West il primo film realizzato interamente con un cast cinoamericano.

Alcune, come Dorothy Davenport, Nell Shipman, Lois Weber e Grace Cunard, lavoravano con i loro mariti o dei collaboratori uomini. Molte delle attrici che recitarono per Weber, alla Universal, passarono a dirigere se stesse. «Le donne non potrebbero trovare un richiamo migliore», scrisse Ida May Park in un capitolo del libro Careers for Women dedicato proprio al «regista cinematografico». E, in un’intervista: «Una donna può portare a questo lavoro entusiasmo e immaginazioni splendidi; un amore innato per il dettaglio e una comprensione intuitiva dei personaggi. Tutti tratti considerati ’femminili’, che però sono necessari a un regista di successo».

MELODRAMMI, western, commedie, polizieschi, fantasy, documentari etnografici (come quelli di Zora Neale Hurston, sul folklore black nel Sud rurale), film di denuncia sociale (Weber era una specialista, anticipando la combinazione tra quell’interesse e la stilizzazione formale di Ida Lupino) o d’avventura (i serial), «erotica» (Salomè, di Alla Nazimova)… La varietà presentata in Pioneers è molto vasta e sembra riflettere una mancanza totale di differenziazione tra film «di donne» e «di uomini» , o tra soggetti più idonei a uno e all’altro genere.     

«Se voglio scene d’azione veramente emozionanti devo dirigerle io», diceva Helen Holmes, star e spesso regista del serial The Hazards of Helen, sulle avventure di un’operatrice di telegrafo in una postazione remota. E, negli episodi inclusi nel cofanetto, dimostra non solo un grandissimo istinto per la composizione dell’inquadratura e la coreografia dell’azione, ma anche capacità acrobatiche su ponti, treni, rotaie e corsi d’acqua, che ricordano quelle di Buster Keaton in Come vinsi la guerra. Lo stesso vale per le prodezze fisiche di Grace Cunard, protagonista e spesso regista di The Purple Mask, serial su un’eroina mascherata, Patsy Montez, alias La maschera viola, che ruba ai ricchi per dare ai bisognosi.

Tra i film formalmente più affascinanti e complessi, quelli di Lois Weber, abilissima oltre che nella composizione delle immagini, nell’uso creativo delle sovraimpressioni –in particolare The Rosary un melodramma ambientato sullo sfondo delle Guerra civile e Suspense, che –storia di una donna insidiata da un vagabondo che le entra in casa- sembra un trattato teorico sul genere codificato da Griffith.

INCLUSO nella raccolta anche un lungo frammento del film che mise fine alla carriera di Weber, What Do Men Want? Cosa vogliono gli uomini?, prodotto nel 1921 dalla casa di produzione di Weber e malamente distribuito dalla Paramount che, secondo Stamp lo trovò troppo sovversivo nei contenuti. Entro l’inizio della seconda decade del 1900 il cinema si era rivelato un’industria molto lucrativa. L’entrata in scena di Wall Street e la concentrazione della produzione/distribuzione nelle mani degli Studios hollywoodiani, mise fine a quel fertile periodo di eguaglianza tra sessi.