Non c’è nulla di fantasy nel Kyrat, stato dal nome fittizio ma ispirato al Nepal, situato tra le valli e le vette dell’Himalaya.
È qui che si consuma Far Cry 4 (per pc, console nuove e «vecchie»), lo sparatutto avventuroso dai toni rivoluzionari che ci scaraventa in mezzo alla cruenta guerriglia tra gli eserciti del dittatore folle Pagan Min e i ribelli del Sentiero d’Oro. Uno scenario che ricorda molto da vicino gli eventi che devastarono il Nepal durante i primi anni del 2000, quando Gynendra, membro della Famiglia Reale, si proclamò Re dopo l’inquietante massacro dei parenti; una strage imputata, ma ci sono tante ombre, al fratello Dipendra, morto suicida subito dopo. Quando Gynendra, come ultimo gesto di un crescendo autoritario, sciolse il governo, si innescarono pesanti reazioni da parte del popolo che si unì alla rivolta dei maoisti.

Non c’è nulla di fantasy quindi, nel Kyrat. Nella prima persona di una soggettiva totale controlliamo il corpo di Ajay Ghale, un giovane americano la cui madre nativa del Kyrat gli affidò, in punto di morte, il compito di recarsi nella terra natale per spargerne le ceneri. Così si parte e mentre percorriamo una strada impervia su un cadente autobus ecco che, dopo pochi minuti dall’inizio del videogame, ci si trova fermi in un posto di blocco dove le guardie di Min compiono un massacro, risparmiandoci solo perché il comunque malignamente carismatico despota ci vuole a pranzo. Sembra che conoscesse la madre di Ajay.

Dopo una parentesi tesa e delirante come uno dei migliori segmenti di un film di Tarantino, Ajay riesce a fuggire grazie all’ausilio del Sentiero d’Oro e l’epopea popolare della vendetta ha inizio.
I monti dell’Himalaya compongono una cornice di rara suggestione esotica dove una natura che si esprime in tutta la sua maestà e crudeltà diviene la vera protagonista del videogame. Gli scenari causano vertigine e brividi, sia quando ci muoviamo tra le rocce acuminate, le pietraie desolate o scaliamo gli algidi ghiacciai, sia quando viaggiamo per le valli lussureggianti palpitanti di fauna, flora, vita e morte. C’è violenza ovunque e se scampiamo ai proiettili degli scagnozzi di Min può capitare che nei pressi di un lago ameno, mentre ne miriamo le acque, un leopardo ci attacchi alla spalle, uccidendoci. Come nel precedente e tropicale episodio gli animali hanno un ruolo di rilievo e rendono gli scenari ancora più veri e letali. Il gioco della guerriglia e della sopravvivenza esalta, motiva il giocatore a combattere la crudeltà di Min, così lo sparatutto diventa simulazione di rivoluzione in maniera naturale.

Tuttavia non c’è nulla di fantasy nel Kyrat. A meno che non si considerino favolose quelle terre, molte delle quali restano ancora inesplorate, al confine tra conosciuto e sconosciuto. Oppure non ci si fermi a meditare davanti a un «thangkas», un dipinto tradizionale.

Allora succede qualcosa di straordinario: entriamo nel regno magico di Shangri-La e qui il fantasy ci travolge. Dal realismo pseudo-nepalese del Kyrat con le sue tinte bianche, celesti e verdi ci ritroviamo in un mondo colorato di rossi, arancioni e gialli. Diventiamo il guerriero leggendario Kalinag, accompagnato da una micidiale tigre albina, nella sua lotta contro le demoniache forze del male comandate da Rakshasa.
Digressioni dall’ideazione geniale che ingigantiscono un videogame già stracolmo di contenuti, le peregrinazioni per le lande incantate di Shangri-La sono missioni imprescindibili per la loro malia cromatica e per la variazione che apportano all’esperienza di gioco, contaminando il verismo e nello stesso tempo esaltandolo, poiché vestono con un’aura di mistero ulteriore le terre himalayane così ricche di segreti, leggende e misteri. Queste coincidenze tra più piani, storia simulata e mito, natura crudele e meravigliosa, trasformano Far Cry 4 in un’esperienza che non ha quasi nulla dello sparatutto convenzionale, sebbene conservi alcune iperboli di questo genere, come la frenesia di certi combattimenti, solo talvolta affrontabili con la discrezione omicida di una strategia «stealth». Far Cry 4 è un’avventura tra le più alte montagne del mondo, scenario raro che ci fa percepire, anche nella sua virtualità, la qualità transitoria dell’essere umano. Verità e sogno si accarezzano laddove le vette e i ghiacci millenari giacciono impassibili al dolore e alla sofferenza che si consumano sotto l’ancestrale mole.