«Questo governo non nascerà a tutti i costi, questo è chiaro». Alle due del pomeriggio, al Quirinale, Enrico Letta risponde alle domande dei giornalisti appena uscito dallo studio alla Vetrata. L’incarico di formare un governo e risolvere dopo due mesi lo stallo seguito alle elezioni politiche, giura, l’ha colto di sorpresa. La telefonata del presidente della Repubblica è arrivata al mattino, eppure martedì sera il vice segretario del Pd che guidava la delegazione democratica era stato l’ultimo a parlare con Giorgio Napolitano. Che a quel punto aveva già deciso di puntare su di lui perché «è giovane ma ha già accumulato importanti esperienze». E soprattutto ha più possibilità rispetto a Giuliano Amato di riuscire nella missione a questo punto più difficile: tenere legato il partito democratico al governo con Berlusconi. «Le difficoltà le vedo tutte», dice a sera il presidente incaricato, dopo l’incontro di rito con i presidenti di senato e camera, un confronto con Bersani e un primo giro di telefonate. Ma non ripete più che «il governo nascerà solo se ci saranno le condizioni».

Giorgio Napolitano, il protagonista assoluto di questa soluzione, impegnato adesso a trasferire sul governo lo stessa maggioranza a tre piazze che lo ha riportato al Quirinale, è molto meno possibilista sull’esito. ««Ho piena fiducia. Confido nel successo che è indispensabile, la prospettiva che si è aperta non ha alternative». Il capo dello stato accompagna il presidente incaricato con un paio di impegnative istruzioni per l’uso dell’incarico. La prima è «riconoscere il ruolo che ciascuna delle forze politiche impegnate a collaborare deve avere in un governo di così larga convergenza». Quindi nessuna fuga verso i tecnici, che era sembrata un’ipotesi possibile per abbassare il tasso di berlusconismo nel governo e limitare così i malumori democratici. Che certo faticherebbero assai a dover dare la fiducia a ministre come Gelmini o Brunetta. D’altra parte, con Berlusconi volato a Dallas, ci ha pensato Alfano a bloccare ogni tentazione «tecnica», avvertendo prima ancora che Letta fosse formalmente incaricato che «o il governo è forte, politico, duraturo e capace di affrontare la crisi economica oppure se si tratta di un governicchio qualsiasi, semibalneare, lo faccia chi vuole, ma noi non ci stiamo». Il Pd deve bere fino in fondo l’amaro calice – «con i tecnici abbiamo già dato», aggiunge Alfano – e il Pdl dopo i casi Marini e Prodi pretende anche garanzie di affidabilità dai nuovi imprevisti alleati. Berlusconi del resto ha due opzioni ugualmente favorevoli: o un governo che non gli faccia pagare il prezzo della sconfitta elettorale o le elezioni ma subiti, con i sondaggi che lo premiano. Due alternative che per i democratici sono adesso due cappi tra i quali scegliere.

La seconda raccomandazione di Napolitano è di fare presto, procedendo a un confronto veloce con «le forze politiche già predisposte alla formazione del governo». Letta al contrario, dopo che si era diffusa la voce di un’esclusione del Movimento 5 Stelle, ascolterà anche i grillini, e conta di recuperare il sostegno della Lega. «Parlerò con tutti», dice il presidente incaricato – che da stamattina fino a stasera consulterà tutti i partiti alla camera – «siamo in uno schema nuovo rispetto al lavoro fatto in precedenza». Nuovo anche rispetto agli impegni elettorali del Pd e alla scelta di un governo «di cambiamento» che aveva mosso Bersani, insieme a Letta, nella sue lunghe e improduttive consultazioni da premier pre-incaricato. E diversa rispetto agli otto punti firmati anche da Letta che adesso finiscono giocoforza accantonati: «Serve un lavoro nuovo, questo è un governo di servizio al paese». Il Pdl ha in effetti tutt’altro programma, tanto per cominciare vuole che sia restituita, e abolita, l’Imu sulla prima casa.

La prudenza di Letta è dunque tutta rivolta in casa Pd, dove dopo il disastro delle votazioni per il Quirinale i rapporti non sono facili. Da qui l’esigenza di chiarirsi con Bersani – che all’osso è stato scavalcato dal suo vice in nome di un’opzione politica opposta alla sua – e con gli altri capicorrente del partito. «Rapidità sì, ma teniamo conto che ho iniziato a lavorare adesso sia al programma che all’equilibrio della squadra», chiude la giornata Letta che ragionerebbe di un governo a 18 ministri, come quello Monti, di cui 12 con portafoglio. L’intenzione sarebbe quella di sciogliere la riserva già domani e presentarsi alle camere per la fiducia sabato, ma è probabile uno slittamento alla prossima settimana. Messe sul tavolo le richieste dei partiti, molto lavoro resta da fare. «Siamo in una terra incognita», ragiona ancora Letta. Che al momento non può contare su una fiducia certa. Come del resto prima di lui Bersani, al quale però Napolitano non ha permesso di tentare la sorte in parlamento.