E’ scontro ai vertici dell’Unione europea sulla distribuzione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri. In una lettera ai leader europei che si incontreranno giovedì e venerdì a Bruxelles, il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk ha definito «altamente divisivo» e «inefficace» il meccanismo di quote obbligatorie che impegna le capitali a farsi carico, sulla base di criteri di distribuzione prestabiliti, dei rifugiati che arrivano in Europa. Parole che hanno provocato prima la dura reazione dei funzionari che in questi giorni stanno lavorando alla stesura del documento finale del summit (e primi fra tutti quelli di Italia e Grecia, ma anche di Germania, Olanda e Spagna), e poi la replica durissima del commissario Ue all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos che ha bollato le affermazioni di Tusk come «inaccettabili» e «antieuropee». «Volano stracci», riassumeva ieri sera a Bruxelles una fonte senza tanti giri di parole.

Per quanto inattesa, l’uscita di Tusk non rappresenta però una novità. E’ da ottobre, da subito dopo le elezioni in Germania, che il presidente del Consiglio Ue non fa mistero del suo scetticismo riguardo alla possibilità di inserire il meccanismo delle quote obbligatorie nella futura riforma di Dublino. «Idee – aveva spiegato – che mettono gli Stati membri in un conflitto permanente». Praticamente negli stessi giorni, però, il parlamento europeo ha invece approvato una proposta di riforma che abolisce il principio del Paese di primo arrivo (estremamente penalizzante per Stati come Italia e Grecia), prevedendo proprio l’obbligo di ricollocare i profughi. Una svolta definita «storica» che ieri Tusk ha invece preferito ignorare del tutto.

Dietro le parole del presidente del Consiglio si intravede la preoccupazione di un possibile acuirsi delle divergenze con i Paesi dell’Est, da sempre contrari a condividere la responsabilità di accogliere i profughi. Solo pochi giorni fa la Commissione Ue ha deferito Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca alla Corte di Giustizia europea per non aver rispettato il programma di relocation lanciato nel 2015. Una condanna da parte dei giudici di Lussemburgo (praticamente scontata), farebbe salire ulteriormente la tensione. Non a caso in vista del summit di giovedì, quando la questione migranti verrà affrontata dai 28, Tusk ha organizzato un pre-vertice tra i quattro leader del gruppo Visegrad (Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia) e il premier italiano Paolo Gentiloni. Ufficialmente l’incontro servirà ad annunciare l’impegno di Visegrad a contribuire con 35 milioni di euro al Fondo per l’Africa, ma dovrebbe servire anche ad avvicinare posizioni che più distanti non potrebbero essere sulla riforma di Dublino. Con scarse possibilità di riuscita: «Sulle quote obbligatorie l’Italia non fa nessun passo indietro», ha affermato ieri Gentiloni parlando al Senato, dove ha anche rivendicato come un «successo» italiano la forte riduzione nel numero degli arrivi (-63% negli ultimi cinque mesi rispetto al 2016, pari 80 mila unità in meno). E in serata palazzo Chigi ha fatto sapere che il premier non parteciperà alla prevista conferenza stampa con i premier dei quattro Paesi dell’Est.

Ma le reazioni dure provocate dall’attivismo di Tusk non riguardano solo la bocciatura delle quote obbligatorie. Anziché difendere la centralità delle istituzioni europee. nella lettera il presidente del Consiglio si è sbilanciato fino al punto di affermare che «solo gli Stati membri sono in grado di affrontare in modo efficace le crisi migratorie» (tesi cara, guarda caso, a Polonia, Ungheria,. Cechia e Slovacchia) e annunciato in caso di mancato accordo entro giugno 2018indicherà lui stesso «una via da seguire». Dimenticando che il potere di formulare proposte appartiene alla sola Commissione europea. «Sono i totale disaccordo con lui», ha commentato Avramopoulos, per il quale la lettera di Tusk «ignora il lavoro che abbiamo fatto insieme negli ultimi anni».
In serata fonti diplomatiche informano che si arriverà probabilmente a una riscrittura di alcuni passaggi della lettera, senza però cambiare la sostanza delle cose. Aprendo così le porte a uno scontro finora inedito.