Sono cominciati ieri presso la procura di Avellino gli interrogatori per cercare di definire la dinamica dell’incidente che domenica sera ha ucciso 38 persone sull’autostrada A16, nei pressi di Monteforte Irpino. Omicidio colposo plurimo e disastro colposo le ipotesi di reato. I primi a varcare il portone sono stati i responsabili di società Autostrade per l’Italia spa e della manutenzione stradale. Tre filoni individuati: le condizioni del pullman granturismo su cui viaggiavano le famiglie in gita a Telese Terme; la tenuta delle barriere laterali, sfondate dall’impatto con il mezzo, poi precipitato nella scarpata per 30 metri; le condizioni dell’autista Ciro Lametta.
Le immagini sequestrate, riprese dalle telecamere, confermano che la strada era pulita prima del passaggio del bus, un’ulteriore prova a sostegno dell’ipotesi che i due pezzi meccanici ritrovati sull’asfalto si siano staccati dal mezzo due chilometri prima dell’impatto fatale. I reperti sequestrati dalla Polstrada potrebbero essere pezzi del semiasse, la certezza arriverà con l’esito della perizia predisposta dal pm Rosario Cantelmo. Il granturismo Volvo aveva l’aspetto di un pullman in buone condizioni ma in realtà risaliva al 1995, reimmatricolato nel 2008, novecentomila chilometri macinati, era in leasing alla Ack Travel Mondo sas con sede a Napoli di Gennaro Lametta, iscritto nel registro degli indagati, fratello dell’autista. Insieme gestivano l’attività di trasporto a conduzione familiare. Ciro, 44 anni, morto sul colpo, durante l’anno guidava anche uno scuolabus, accompagnava i bambini a fare sport, le famiglie lo conoscevano. Una persona affidabile che pare abbia provato a evitare il disastro, senza purtroppo riuscirci. Dalla Motorizzazione di Napoli fanno sapere che la revisione, effettuata a marzo, ha certificato che «il mezzo era in condizioni idonee alla circolazione. Si tratta di una serie di test molto meticolosi e severissimi. Ma, una volta uscito dai nostri uffici, occorre che venga tenuto sotto costante manutenzione». I documenti per ora sembrano in ordine, due le tipologie di interventi effettuate: il «controllo supplementare» per viaggi superiori ai 700/800 chilometri e quello ordinario, per percorsi brevi. Così toccherà ai periti stabilire se e perché il distacco di parti della trasmissione ha lasciato il pullman senza alcuna possibilità di frenate, tanto che sulla discesa del viadotto il bus ha raggiunto i 100/110 chilometri orari prima di infrangere la barriera laterale, tipo New JerseyI, e poi precipitare. I tecnici dovranno anche accertare la tenuta proprio del guardrail. L’autostrada è stata costruita oltre 40 anni fa e attraversa un territorio montuoso, ricco di curve, per questo sono necessari frequenti interventi di manutenzione e un limite di velocità a 80 chilometri orari. Il New Jersey in calcestruzzo e acciaio, installato negli anni ’90, è in grado di sopportare l’urto di un mezzo fino a 38 tonnellate, lanciato ad una velocità di 65 chilometri orari e con un’angolazione di 20 gradi. Cioè è strutturato per reggere l’urto con un’autovettura. Al perito il compito di verificare lo stato del cemento e dell’intera struttura crollata, se è stata fatta la manutenzione e se è stata montata in maniera corretta, se infine fosse quella prescritta dalle norme. Ottenute le risposte, resterà comunque sul tavolo il tema della sicurezza. «Quel tipo di guardrail chiamato new jersey era il tipo primitivo di barriera per le autostrade importato dagli Stati Uniti. Fu fatto per le auto e per un impatto non frontale ma laterale: va molto bene per le strade in città, ma è stato abbandonato e sostituito su altre autostrade a maggior traffico da un altro tipo molto più robusto e soprattutto più alto. Solo con quel tipo di barriera l’autobus rimane comunque al di sotto del limite del guardrail e quindi non si ribalta» spiega il professore di ingegneria dei trasporti della Luiss, Antonio Tamburrino: «non capisco perché Autostrade per l’Italia, pur avendo dei bilanci limitati, ha cominciato a sostituire il new jersey anche nei tratti di autostrada pianeggianti, dove non sarebbe massima la priorità, e non nei punti più pericolosi».