Rimane sullo sfondo, tanto da essere stato solo evocato e non esplicitato nel contratto di governo. Ma è sempre lì, presente con tutte le sue contraddizioni: è l’altro Tav, ovvero il Terzo Valico, la linea ferroviaria ad alta capacità, quasi completamente interrata, tra Genova e Tortona (Alessandria).

A maggio le scelte dei 5 Stelle hanno sancito la spaccatura con i No Tav, di cui avevano fatto parte. «Il no al Terzo Valico promesso in campagna elettorale è stato barattato per andare al governo», aveva tuonato il movimento che si oppone da anni all’opera.

I 5 Stelle locali, i più in difficoltà, ribadivano che non era così, nulla era stato svenduto. Ora, due mesi dopo, il tifo leghista capitanato da Edoardo Rixi, sottosegretario alle infrastrutture, spinge per il completamento dell’opera: «Avanti tutta», dice con vigore; più cauto il suo superiore, il ministro pentastellato Danilo Toninelli: «Servono ulteriori valutazioni costi-benefici».

Il paradosso tutto italiano di questa che è tra le più grandi opere pubbliche, completamente finanziata dallo Stato (6,2 miliardi di euro) e assegnata senza gara d’appalto, è che l’unica analisi costi-benefici risale ben al 2003, redatta oltretutto dal Cociv, il realizzatore dell’opera, coinvolto negli anni in svariati scandali giudiziari.

In quel documento si diceva che le linee attorno al porto di Genova sarebbero state sature di merci nel 2010. Ma così non è stato, è un dato di fatto.

Di valutazioni serie e indipendenti ce ne sarebbero volute, visto il notevole impatto economico e ambientale. Tutto, però, nacque nel peggiore dei modi: il progetto, che all’inizio andava fino a Milano, fu più volte bocciato in sede di Via (valutazione di impatto ambientale) e venne salvato e protetto da ogni altra intromissione tecnica, dalla berlusconiana Legge obiettivo, giudicata criminogena da Raffaele Cantone.

I lavori, però, procedono a singhiozzo; più speditamente sul fronte ligure meno su quello piemontese. «Non siamo neanche al 30% della realizzazione, mettendoci anche le rotonde e le opere accessorie. Altro che l’80% sbandierato da Rixi. C’è tutta la possibilità di fermare il Terzo Valico, basta volerlo. La messa in ordine di tale scempio avrebbe anche un risvolto occupazionale», spiega Eugenio Spineto di Arquata Scrivia (Alessandria), uno dei leader del movimento.

Gli fa eco Davide Ghiglione, consigliere di Chiamami Genova, la lista di sinistra, nel V Municipio, la Valpocevera: «I costi di uno stop all’opera sono infinitamente inferiori rispetto a quelli sociali e ambientali che avrebbe la sua realizzazione».

A Radimero, frazione di Arquata, i lavori della talpa stanno mettendo a rischio le sorgenti d’acqua. «Dopo il problema dell’amianto ora le sorgenti rischiano di inaridirsi. Non ci sono analisi costi-benefici da aspettare, c’è da fermare un’opera. Non vogliamo un altro Mugello», rimarca Spineto.

Proprio a Radimero, ci fu uno dei momenti più caldi della lotta No Tav nel 2014. Il pm Andrea Padalino – a Torino fino a pochi mesi fa, dove guidò le principali inchieste contro gli attivisti valsusini, e ora distaccato ad Alessandria e su cui pende, per altre vicende, un procedimento disciplinare del Csm – ha chiesto il rinvio a giudizio per 50 attivisti, dai 23 ai 73 anni, che parteciparono a manifestazioni di protesta.

Recentemente si sono invece chiuse le indagini nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti per il Terzo Valico. La procura di Genova ha notificato l’avviso a 36 persone e 4 società. Tra gli indagati l’ex presidente di Cociv Michele Longo e il suo vice Ettore Pagani. I manager del consorzio avrebbero assegnato i lavori a imprenditori amici in cambio di mazzette.