Dieci anni fa un gruppetto di amici napoletani e senegalesi ha fondato il club calcistico AfroNapoli United. Erano ragazzi che s’incontravano settimanalmente per partitelle amatoriali sui campetti di periferia ma volevano di più, impegnarsi in prima persona nelle battaglie politiche quotidiane, dare un segnale di eguaglianza e inclusione per sconfiggere i pregiudizi della realtà metropolitana. Da allora una coloratissima onda travolgente di squadre di calcio, nate dal basso, popolari e autogestite, ha portato in giro una diffusa sensibilità antirazzista e antifascista promuovendo l’integrazione sociale attraverso lo sport (principalmente il pallone ma anche la boxe nelle palestre, polisportive anche femminili, pallavolo e basket). L’AfroNapoli United, il team multietnico, simbolo di questa nuova stagione, ha collezionato quattro promozioni in sei stagioni di campionati federali, passando dalla Terza categoria dei Dilettanti all’Eccellenza, il penultimo gradino della scalata verso lo status di società professionistiche, il fatato paradiso della Serie C.

INVECE lo Spartak Lecce ha abbandonato i campionati federali preferendo quelli dell’Uisp e sulle magliette ha da tempo lo slogan No Tap, quello dei comitati locali contro il mastodontico gasdotto in arrivo dall’Azerbaigian. Di queste e di tante altre squadre – più di trenta solo in Italia ma ce ne sono anche all’estero – che mettono insieme associazionismo di sinistra, movimenti sociali e cultura ultras si occupa Il calcio è del popolo, sottotitolo «Geografia del calcio popolare in Italia», volumetto scritto da Davide Ravan e che è stato pubblicato recentemente per le edizioni Bepress di Lecce.

DOPO aver lasciato ampie e importanti tifoserie in balia degli estremisti di destra per anni, oggi sporcarsi le mani, o meglio i piedi, con l’universo calcistico è diventato uno degli spazi d’intervento preferiti dell’associazionismo giovanile, con la parola d’ordine di rendere il calcio accessibile a tutti, d’intercettare la voglia di svago e di aggregazione dei teenager, di puntare sull’autofinanziamento e sull’azionariato popolare (quasi tutti rifiutano le sponsorizzazioni commerciali), di propagandare ideali di fratellanza e solidarietà. In questa multiforme galassia si ritrovano esperienze molto differenti accomunate però dal lavorare con poche risorse, generalmente nelle periferie, con l’obiettivo di una resistenza culturale e sportiva, di promuovere valori collettivi.
Ravan ha schedato le formazioni più note, intervistando giocatori e dirigenti, migranti e italiani di seconda generazione, tutti un po’ preoccupati dal restringersi degli spazi di libertà e dall’obbrobrio giuridico del Decreto Sicurezza Bis (che arriva persino a vietare i cortei!!). Il libro individua i problemi comuni (dai permessi di soggiorno degli immigrati ai costi d’affitto dei campi) ed è una perfetta istantanea di quello che si agita nel mondo del calcio dilettantistico e alternativo dove tutti, dal C.S. Lebovski di Firenze (con la sua costola femminile, le Mele Toste) al Sankara F.C. di Lucca (una filiazione dello Sprar cittadino), puntano molto sulle attività sociali, sulla vocazione territoriale, sulle lotte spontanee promuovendo spesso il terzo tempo, ossia il mangiare e bere in comune dopo la partita nel segno dell’amicizia.