Alle 21 di ieri sera, a votazioni terminate, restava ancora in dubbio la presenza in aula, stamattina, del papà della riforma: Matteo Renzi. Nel tardo pomeriggio, l’inquilino di palazzo Chigi avrebbe chiesto un parere al gruppo del suo partito, che lo avrebbe seccamente sconsigliato: meglio evitare. Più o meno alla stessa ora, nessuno aveva ancora chiesto la diretta tv per il dibattito di stamattina. Non ci sarebbe nulla di strano se non si trattasse dell’evento indicato più volte dallo stesso Renzi come di portata «storica». La sceneggiata, infatti, era già pronta, con tanto di data fatidica rispettata meticolosamente. Del tipo: «L’8 agosto avevo detto, e l’8 agosto è stato».

Il giorno della storica vittoria è diventato un appuntamento temibile e temuto. Non c’è analisi altrettanto eloquente nel descrivere la fase difficilissima nella quale si trova il trionfatore delle elezioni europee. La luna di miele è finita, e per sincerarsene bastava leggere ieri gli editoriali al vetriolo di una stampa fino a 24 ore prima capace solo di cantare le lodi del governo.
Il guaio, al momento, è fatto di cifre deludenti e conti pubblici desolanti, non ancora di pericoli politici. Merito di Silvio Berlusconi e della sua malcelata copertura: se Fi fosse davvero un partito d’opposizione, la sorte del governo Renzi sarebbe più o meno segnata. È invece di maggioranza in tutto tranne che nel nome, e solo per questo l’allarme politico non è ancora rosso. Giovedì pomeriggio, subito dopo la rimpatriata a palazzo Chigi, Renzi si era premurato di far filtrare secche smentite all’eventualità di concordare con Berlusconi le misure economiche. Ma nessuno glielo aveva proposto. Intervistato dal Messaggero aveva ribadito che di convergenze sull’economia non si può parlare: «Se ci sono singoli argomenti sui quali sono d’accordo ben venga, ma mi sembra difficile». Una tipica conferma travestita da smentita. Proprio questo, infatti, è stato l’impegno di Berlusconi, del resto già praticato da tempo: sostenere attivamente le misure del governo solo se e quando necessario, e per il resto evitare affondi che metterebbero in seria difficoltà il socio. È solo grazie a questo fondamentale sostegno che Renzi, nonostante la disfatta economica, può guardare al futuro con qualche speranza.
Bisognerà però vedere se quell’intesa perfetta tra i due finti rivali supererà la prova dell’autunno. È possibile, non certo. Basta farsi un giro fra i parlamentari azzurri per concludere che da quelle parti gli umori sono neri. «La verità – confessa sconsolata una parlamentare di lungo corso – è che Berlusconi è entrato in politica per salvare le sue aziende e adesso ne esce per lo stesso motivo». Pochi passi più in là una collega disquisisce sulla collocazione futura del partito: «Un appoggio esterno saprebbe un po’ troppo di prima repubblica, ma un nostro ingresso aperto al governo probabilmente Renzi non lo può reggere. Certo è un fatto che nelle ultime settimane ci siamo avvicinati moltissimo alla maggioranza». Se provi a fare l’avvocato difensore e segnali che in compenso l’ex cavaliere porta a casa la sua riforma elettorale, la musica non cambia. «Ma se gli abbiamo dato proprio quello che per vent’anni abbiamo considerato il pericolo più grave, il doppio turno», sbotta un senatore tra i più agguerriti.

Non sono casi isolati ma campioni fedeli di uno stato d’animo quasi unanime. Le truppe forziste si rendono perfettamente conto di essere in questo momento pedine e merce di scambio: nulla di più. Dal mercimonio del Nazareno il capo non è affatto uscito a mani vuote, ma la contropartita (che è nei fatti, non in rocambolesche clausole segrete) va a vantaggio suo, non del partito. Arcore deciderà con palazzo Chigi chi dovrà succedere a Napolitano e il condannato Berlusconi ne gioirà. Fininvest collaborerà con il governo alla riforma complessiva dell’etere: avrà garanzie sui tetti pubblicitari, metterà mano, forse anche qualcosa in più, alla riforma della Rai, e l’industriale Berlusconi se ne rallegrerà. Ma dal punto di vista politico, trattasi di secca svendita. Che la carne da cannone di Berlusconi accetti ancora a lungo di adeguarsi allo scomodo ruolo non è affatto garantito.