Specchio di un governo che non riesce a decidere mai nei tempi previsti, il consiglio dei ministri sulla revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia slitta dalle 11 alle 22. Segnale che le divisioni nella maggioranza continuano ad esserci e soprattutto che la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli è la meno convinta della linea dura decisa da Conte, che comunque terrà l’informativa di apertura del cdm dopo aver visto i capidelegazione della maggioranza.

GIÀ IN MATTINATA viene resa pubblica una sua lettera a Conte del 13 marzo – inizio del lockdown – in cui si dà conto del parere dell’Avvocatura dello stato sulla legittimità del ricorso di Aspi e il consiglio a tener conto che i miliardi da sborsare per liberarsi dei Benetton sarebbero i 23 previsti originariamente e non i 7 fissati dal decreto Milleproroghe.

Nella lettera contiene anche il parere in materia di De Micheli, ben diverso da quello di Conte: «Considerata la delicatezza e la complessità della questione credo sia opportuno sottoporre al cdm la soluzione transattiva». Una soluzione che si rifaceva alla prima proposta di Atlantia, prima dell’ulteriore miglioramento di sabato con l’aumento da 2,9 a 3,4 miliardi fra riduzione tariffe, investimenti e ricostruzione del ponte di Genova. Una posizione che dunque sarebbe a fortiori confermata nel consiglio dei ministri.

Sempre imbeccati dal ministero guidato da De Micheli, i quotidiani hanno poi rilanciato l’ipotesi di un commissariamento di Aspi come soluzione alternativa alla revoca. Servirebbe un decreto ad hoc e dunque una – non scontata – maggioranza parlamentare per approvarlo. La nomina di un commissario al posto dei vertici attuali di Autostrade lascerebbe tutto immutato nella composizione societaria ma garantirebbe la continuità aziendale, vero problema da risolvere in caso di revoca, visto che il passaggio immediato ad Anas – l’ad Massimo Simonini parla di non «particolare interesse verso le concessioni» ma è «a disposizione del governo» – comporterebbe problemi di gestione.

DAL PUNTO DI VISTA DEL DIRITTO e del rispetto del tanto citato «mercato» anche questa strada presenta molti rischi: perché i Benetton e i loro soci minori (sparsi in tutto il mondo, dalla Cina alla Germania, a conferma delle uova d’oro della concessione) in Atlantia – ieri il cda della fondazione Cassa di Risparmio di Torino (Crt) che detiene il 4,53% ha chiesto al governo «di tenere conto del quadro giuridico e della credibilità internazionale» – dovrebbero accettare supinamente un commissariamento di una società pienamente in esercizio fino ad oggi?

RISULTA PERÒ QUANTO MENO difficile pensare che il docente di diritto amministrativo Giuseppe Conte debba prendere lezione in materia dai suoi ministri: ha tanti difetti, difficile imputargli la scarsa conoscenza della materia delle concessioni pubbliche.

È per questo che al momento di andare in stampa l’ipotesi ancora più probabile è quella di una revoca chiesta a gran voce da M5s e Leu con l’alternativa di un accordo per cui i Benetton escano del tutto dal capitale di Aspi e Atlantia.

L’ULTIMA MORAL SUASION sul governo da parte dei Benetton era stata fatta in mattinata dal dal presidente di Edizione – holding della famiglia Benetton – Gianni Mion, l’uomo che secondo Repubblica avrebbe anche incontrato Luigi Di Maio nei giorni scorsi. «Quello che è accaduto, il crollo del ponte di Genova, le vittime e le sofferenze provocate, quello che è emerso dopo la tragedia, rende comprensibile la posizione del Presidente del Consiglio – ha dichiarato in una nota – È nostro dovere difendere le due aziende, Aspi ed Atlantia, ed i loro dipendenti, finanziatori ed azionisti. Mi auguro che si possa trovare una soluzione equa nell’interesse di tutti: cittadini, lavoratori, risparmiatori ed investitori».

UNA MOSSA CHE AVEVA portato il titolo Atlantia ad un rimbalzo in Piazza Affari, già smorzato nel pomeriggio. Il titolo ha chiuso con un guadagno dello 0,9% a 11,45 euro, dopo aver toccato un massimo di seduta a 11,88 euro (+4,5%). Indizio che anche il mercato si attende la revoca.