La spiaggia distava una decina di chilometri dalla città e per raggiungerla d’estate c’era il servizio giornaliero delle corriere, a cui però rinunciavamo: i soldi del biglietto erano destinati al chiosco dello stabilimento balneare per la gazzosa o il ghiacciolo. E così si tentava l’autostop ai pendolari del mare.

Quindici minuti, venti al massimo, sul ciglio della strada sotto il sole, poi una macchina che ci caricasse la trovavamo sempre. I compagni di giornata, mai li stessi, variavano a seconda di chi per primi incontravamo nelle vie del centro. Con quasi tutti c’era intesa nell’agire; qualcuno tuttavia, già a vent’anni, aveva le fisime e allora al mare arrivavamo tardi. Gianpaolo, un tipo piccoletto e pieno di sé, si professava autostoppista da spiaggia. Ma alla prova della strada si rivelava una palla al piede per chi gli stava vicino.

Una domenica mattina di fine giugno, col pollice alzato che simboleggia la richiesta di un passaggio, qualche macchina ci avrebbe tolti dalla strada che piega sul rettilineo in direzione del mare. Avevamo appena abbozzato il gesto che fulmineo Gianpaolo ce lo smorzò. “Quello lo conosco, lascia correre lascia correre” intimava a voce bassa, come se l’automobilista potesse ascoltarlo, e coprendoci il pollice con la sua mano. Al secondo, terzo tentativo, ancora con tono perentorio: “Lo conosco lo conosco, lascia correre” e nuovamente a restare interdetti, col pollice che ci veniva subito abbassato.

Intanto, a lasciar correre, le macchine effettivamente correvano, anzi sfrecciavano dopo la curva. Il guaio era che Gianpaolo conosceva, così sosteneva, più del 50% degli automobilisti che ci passavano davanti ai quali non osava chiedere il passaggio. Se ne vergognava. Altro che autostoppista da spiaggia! Evitava di far la figura di chi non può permettersi la corriera del mare. Nella marina arrivammo dopo un’ora e mezza di tentativi d’autostop, tutti abortiti sul nascere, trasportati dall’ultima corsa di corriera prima della sospensione temporanea del servizio nelle ore centrali della giornata. Al ritorno, separatici per disperazione da Gianpaolo, la rivalsa: meno di cinque minuti d’autostop e ci trovammo a bordo di una Lancia Zagato che velocemente guadagnò le propaggini della città.

Ma quella era stata una giornata cominciata storta e la Zagato finì la corsa a singhiozzo finché non si fermò. Il bolide era a secco di benzina, c’informò il distinto signore che lo guidava. Che lasciammo col suo problema, mentre per noi si prospettava un chilometro a piedi di rotabile. Il suono prepotente di un clacson ci allertò. A

bordo di un’utilitaria c’era Gianpaolo il quale, finalmente, aveva fatto l’autostop a qualcuno che non conosceva. Ci fecero posto e senza fretta rientrammo in città.