Nel suo compendio su libri e autori classici della letteratura scozzese, A Short Survey of Classic Scottish Literature, il romanziere, poeta e saggista Alasdair Gray sottolineava, tra l’altro, che «nonostante il suo stato provinciale, la sua tronfia classe borghese, la solida fuoruscita di emigranti in cerca d’una vita migliore da qualche altra parte, la Scozia del XX secolo ha tuttavia scrittori che hanno immaginato la vita nel loro paese senza alcun elemento pittoresco o nostalgico, facendo a meno di quella oscena prosa britannica in cui un eroe onesto approda a una meta medio-borghese». Queste parole illustrano – a grandi linee – libri di molti autori scozzesi fra i quali George Douglas Brown, John MacDougall Hay, Hugh MacDiarmid, Lewis Grassic Gibbon, Iain Crichton Smith, Irvine Welsh e anche dello stesso Alasdair Gray di cui è uscita finalmente in Italia la traduzione completa del capolavoro, Lanark, una vita in quattro libri (Safarà editore, vol 1, prefazione di Jeff VanderMeer, pp. 188, euro 14,90; vol. 2, pp. 165, euro 16,00; vol. 3, pp. 202, euro  16,00; vol.4, pp. 336,  euro 19,00).

Tutto cominciò nel 1954
Concluso dopo quasi trent’anni di lavoro, l’esordio dello scrittore scozzese è considerato un capolavoro della letteratura post-moderna: Anthony Burgess lo ha commentato dicendo che è «un testo narrativo scioccante, scritto in idioma moderno, di cui la Scozia necessitava», e David Lodge ha parlato dell’autore come di «una specie rara nella letteratura anglosassone, un autentico sperimentalista, che ha trasgredito a ogni normale tradizione della prosa, in un delirio conturbante».

Stando a quanto ci racconta lo stesso Gray, Lanark fu iniziato nel 1954, quando era ancora uno studente all’Accademia delle Belle Arti di Glasgow. Sotto questo aspetto, il volume 3 ripercorre tappe e sensazioni fortemente autobiografiche, già anticipate nel volume 2 (attacchi d’asma, realizzazione di dipinti murari, storie con amanti, drammi familiari) proprio mettendo in scena gli studi, la maturazione, le infatuazioni del giovane Duncan Thaw prima che questo si riscopra in Unthank col nome di Lanark, e come alter ego di Thaw dia vita alla celebre saga distopica del volume 1 e del volume 4.

La prima parte dell’opera fu pronta solo nel 1963, ma non trovò un editore che ne volesse rischiare la pubblicazione. L’intera opera (in 4 volumi) fu completata nel 1976 mentre la pubblicazione fu approvata solo nel 1981, quando la Canongate di Edimburgo, al tempo un piccolo editore, ne riconobbe la grandezza. Definito, di volta in volta un romanzo realistico, distopico, surreale, autobiografico, fantascientifico, pornografico, politico, post-moderno, Lanark rivela subito la sua giocosità interna: note a margine e a piè di pagina anticipano storie di personaggi che dovrebbero arrivare, ma che non si vedranno affatto fino alla fine del romanzo; l’ordine dei libri è anomalo – il volume unico dell’edizione originale esibisce la sequenza: tre, uno, due, quattro – con un Prologo prima del libro primo, e un Epilogo che cade quattro capitoli prima della fine del tutto, perché Gray lo definisce esplicitamente troppo importante perché debba cadere proprio alla fine.
Nell’epilogo, infatti, siamo proprio al centro del nodo post-moderno. Il protagonista (leggi: Lanark) incontra il suo Autore nelle vesti di Nastler, e completa una mappa lunghissima di personaggi che mettono in discussione (o chiedono la vita) al loro creatore. L’Autore qui confessa le sue ruberie e le sue ascendenze letterarie attraverso una lista di «influenze»: c’è un poco di Kafka, un poco di Joyce, e poi Coleridge, Poe, Flann O’Brien, Blake, Burns, Bunyan, Carroll, Walt Disney, T.S. Eliot, Freud, Goethe, Heine, Ibsen, Dylan Thomas, Wells, e non è finita. Le svariate letture di Gray trovano qui alloggio, in un assemblaggio al quale la letteratura scozzese ci aveva già abituato, fin da quando Hugh MacDiarmid, negli anni Venti del secolo scorso, aveva prodotto il manifesto d’una rivoluzione linguistica, teorica, politica e poetica.

Se per il poemetto A Drunk Man Looks at the Thistle (1926) Kenneth Buthlay impiegò quasi sessant’anni di ricerche per approdare alla pubblicazione di una edizione annotata, Gray, con in mente questo eclatante precedente scozzese, ci semplifica il lavoro, sebbene non sembra sia il caso di credere a tutto quello che ci dice del suo libro. Di certo, assistiamo in queste pagine alla discussione tra Autore e protagonista sul problema del finale del romanzo: l’accordo non viene raggiunto, e questa affermazione lapidaria dell’Autore, quando si rivolge direttamente a Lanark, suona credibile: «La tua sopravvivenza in quanto personaggio e la mia in quanto autore dipendono dal fatto d’invogliare un essere vivente a entrare nel nostro mondo a stampa e intrappolarlo lì abbastanza a lungo per permetterci di rubare l’energia immaginativa che ci dona la vita. Per stregare questo straniero sto facendo cose abominevoli».

Glasgow congelata
Di fatto, Lanark riesce a catapultarci in uno strano universo, risucchiando tutta la nostra voglia d’energia vitale fino alla fine, a cominciare dai libri di Duncan Thaw in cui la ricostruzione sia della Glasgow del tempo sia delle emozioni personali è del tutto lineare. Quindi, capovolge le regole nel mondo di Unthank, nei volumi 2 e 4 – quando Thaw, suicida per annegamento, ha lasciato Lanark al suo centro, pronto per una rinascita, secondo i dettami di T.S. Eliot.
Subentra allora un completo distacco del personaggio dal divenire cronologico della storia: la sua Glasgow è congelata nelle potenzialità (ormai trascorse) di una metropoli industriale in divenire, eppure completamente distaccata da un contatto più energizzante con l’Inghilterra. Solo la guerra – in questo caso quella combattuta dal padre del protagonista – riesce, per un breve frangente, a legare Glasgow a un mondo reale, per poi farla ripiombare nell’anonimità, che qui sta per l’occultamento della Scozia nella storia d’Europa.

La metropoli diventa inquinante, mefistofelica, pronta all’apocalisse finale, e riecheggia la decadenza sia dei regimi totalitari sia di quelli post-capitalistici – il sistema centralizzato cura, sfrutta e divora i suoi cittadini quando questi vengono colti dalla «dragonite» – mentre l’opera di Gray va avanti senza trama apparente, facendoci sperimentare i sussulti del protagonista in un continuo andirivieni di sensazioni, percezioni, spostamenti cronologici e passionali.

Le illustrazoni di Basilicò
L’edizione italiana di Lanark è mirabile: coraggiosa anzitutto, e ben realizzata in quattro eleganti volumi in brossura. Enrico Terrinoni ne fornisce un’ottima traduzione, sfoggiando un linguaggio elegante ma secco, visionario quando necessario, e sempre conforme alla dizione di un autore difficile, materico, tenebroso. La decisione dell’editore di smembrare il volume unico originale in quattro libri dà al lettore la libertà di scegliere con quale cominciare, potenziando così il gioco post-moderno che sottende tutta l’opera. L’unica variante sostanziale è la non inclusione delle illustrazioni originali – a firma dello stesso Gray – sostituite da quelle di Auro Basilicò che, a suo modo, ci regala visioni differenti, eppure efficaci, del mondo di questo scrittore a dir poco geniale.