A due anni dalla morte del funzionario Onu Mario Paciolla, la giornalista colombiana Claudia Duque ha pubblicato un nuovo reportage che rende pubblici alcuni dettagli degli esami medici legali svolti in Italia sul corpo dell’italiano. Nell’inchiesta diffusa sul quotidiano El Espectador si legge che le ferite sul polso sinistro di Paciolla sarebbero state inflitte quando era in fin di vita, o addirittura post mortem. Sempre secondo le informazioni raccolte da Duque, l’autopsia eseguita dal dottor Fineschi determinerebbe che Mario sarebbe morto per strangolamento, e solo successivamente il suo corpo sarebbe stato sospeso e impiccato a un lenzuolo, nella posizione in cui è stato ritrovato.

QUESTE INFORMAZIONI, non ancora ufficiali e sulle quali i legali della famiglia Paciolla fanno trapelare cautela, si aggiungono alla lunga lista di incongruenze e manomissioni della scena del crimine da parte di ufficiali delle Nazioni unite. La famiglia Paciolla ha esposto denuncia nei confronti di Christian Thompson, il capo della sicurezza della squadra dell’Onu dove lavorava il funzionario italiano, il collega Juan Vásquez García e i 4 poliziotti che hanno permesso l’inquinamento delle prove. Thompson, infatti, ha ripulito la stanza dove è stato trovato il cadavere del funzionario italiano e ha fatto sparire alcuni oggetti presenti sulla scena, tra cui due pentole e un materasso intrisi di sangue. Per il padre del funzionario, Pino Paciolla, la denuncia «parte dal fatto che sia i due individui dell’Onu che i quattro poliziotti erano sicuramente al corrente dei protocolli da adottare in caso di morte di una persona; è assolutamente anomalo introdursi in un appartamento privato, ripulire lo stesso con la candeggina e gettare in discarica tutto ciò che sarebbe potuto servire per ulteriori indagini sulla morte di Mario».

Secondo Claudia Duque, Mario avrebbe pagato con la vita il suo impegno professionale a favore della giustizia nel contesto della Missione Onu per cui lavorava, che si occupa di verificare l’implementazione degli Accordi di Pace tra Farc e governo colombiano. Le tensioni interne alla stessa Missione delle Nazioni unite avrebbero, secondo Duque, esposto l’italiano come uno dei presunti autori di un report che denunciava un’uccisione di minorenni perpetrata dall’esercito colombiano. Il report sarebbe finito nelle mani del senatore Roy Barreras, che lo utilizzò per far saltare la poltrona dell’allora ministro della difesa Guillermo Botero. Malgrado Barreras sostenga di avere ricevuto il report da alte cariche dell’esercito e non da membri della Missione, la giornalista Duque sarebbe in possesso di alcuni audio di riunioni interne all’Onu che dimostrerebbero il contrario.

NONOSTANTE IL CLAMORE mediatico sulla vicenda, la linea comunicativa del primo responsabile della Missione Onu, Carlos Ruiz Massieu, rimane quella del silenzio. Contattati per un’intervista, i vertici della Missione hanno declinato le domande specifiche sulle responsabilità di Thompson e delle Nazioni unite nella settimana intercorsa tra il litigio del funzionario italiano con alcuni colleghi, il 10 luglio 2020, e la sua morte improvvisa cinque giorni dopo. Tramite Francesc Claret, capo dell’ufficio di rappresentanza speciale della segreteria generale della Missione, hanno risposto ai nostri interrogativi con la seguente dichiarazione: «Vorrei assicurarvi che il tema è di grande preoccupazione per la Missione. Mario Paciolla è stato un amico per tante persone della Missione. Continueremo a seguire ogni aggiornamento riguardante le due indagini in corso in Italia e in Colombia, alle quali non abbiamo accesso. La Missione ha collaborato pienamente con entrambe le procure. Tutti noi speriamo che le circostanze della morte di Mario si risolvano il prima possibile. Ribadiamo la nostra solidarietà ad amici e familiari di Mario Paciolla».

Nel frattempo, la svolta politica delle recenti elezioni, che hanno celebrato la vittoria dell’alleanza progressista del Pacto Historico, sembra avere delle ripercussioni anche sui rappresentanti della Colombia ai vertici dell’Onu. Dopo la vittoria di Gustavo Petro, Alicia Arango, ex segretaria di Uribe e ministra del lavoro con Ivan Duque, ha rinunciato al suo incarico come ambasciatrice colombiana presso l’Onu a Ginevra; il suo collega Guillermo Fernández, che rappresentava il Paese nella sede centrale delle Nazioni unite a New York, già ministro degli esteri durante il governo conservatore di Pastrana, ha terminato il suo mandato. Al suo posto, il neoeletto presidente ha affidato l’incarico alla leader indigena Leonor Zalabata Torres, attivista arhuaca impegnata da decenni nella difesa dei popoli nativi colombiani. La speranza è che la nuova classe politica che si è battuta in questi anni per la pace e la giustizia sociale ponga tra le tra le sue priorità anche la ricerca della verità sul caso del giovane funzionario italiano.