I Flat Tax e autonomie rafforzate, come dire il cuore del progetto leghista, rinfocolano le tensioni mai sopite nella maggioranza. La riforma fiscale è al centro dell’intervento di Giovanni Tria a Bruxelles. Il ministro rilancia la sua ipotesi: taglio dell’Irpef finanziato con l’aumento dell’Iva.

Per Salvini, ma anche per i 5S, è una strada impraticabile e Salvini rilancia confermando la convocazione per il 15 luglio delle parti sociali per avviare in anticipo l’iter della legge di bilancio.

AL PREMIER CONTE vedersi scippato con tanta malagrazia il ruolo non va giù. Affida alle anonime fonti di palazzo Chigi il compito di rintuzzare l’invadente leghista: «Come capopartito può incontrare chi vuole ma la manovra si fa nelle sedi istituzionali». La replica è immediata: «Sono il vicepremier, faccio gli incontri e ho invitato i soggetti economici per raccogliere idee sulla manovra». Sarebbe un duello surreale se non ci fosse, a sostanziarlo, il corposo scontro di potere tra il premier di nome e il ministro che ritiene di esserlo di fatto.

Sulle autonomie il clima, giurano tutti, «è positivo». Però tre ore di vertice, con mezzo governo intorno al tavolo di palazzo Chigi, non sono bastate. Il testo non c’è, i tempi slittano. Non di molto: sino a giovedì. La ministra Stefani promette che si andrà avanti a oltranza, sino a testo definito. L’ottimismo della vigilia, con Salvini fiducioso che annunciava «siamo qui per trovare l’accordo», resiste alla delusione. Il governatore della Lombardia Attilio Fontana conferma: «Il rinvio a pochi giorni vuol dire che si sta lavorando sul serio». La stessa ministra assicura che i passi avanti sono sostanziali: «Trovati punti di incontro con l’M5S e con il Mef».

SE TANTO OTTIMISMO sia giustificato lo si scoprirà solo tra un paio di giorni. Di certo i punti in sospeso sono ancora parecchi e per nulla secondari. Lo scoglio che ieri ha arrestato la marcia è l’articolo12, quello sulla chiamata diretta dei docenti da parte delle Regioni. Il sottosegretario Giuliano ha messo in campo una sentenza del 2013 della Consulta, redatta da Sergio Mattarella, che boccia quella strada, allora imboccata dalla Lombardia. In realtà l’intero comparto istruzione è tra quelli più inaccettabili per i 5S, che temono la creazione di livelli di istruzione fortemente diversificati per qualità tra regione e regione.

Di elementi di frizione e dissenso ce ne sono molti altri, come è inevitabile in una riforma che riscrive il funzionamento dello Stato molto più di qualsiasi altra sin qui varata. Ma il punto nodale è più complessivo, non attiene solo a questo o quel particolare, sia pure importante. Riguarda i Lep (Livelli essenziali di prestazione), cioè i livelli base di servizi a cui hanno diritto tutti i cittadini, e il Fondo di perequazione, da usarsi per garantire che quei Lep siano rispettati. In concreto, per i 5S deve essere stabilito chiaramente che, una volta garantiti i Lep, se la situazione delle finanze dello Stato dovesse peggiorare si farebbe ricorso al maggior gettito delle Regioni autonome per riportare in parità i servizi essenziali. Le voci che l’M5S fa filtrare si dicono «fiduciose» sulla possibilità di trovare presto la quadra ma proprio su questo punto essenziale il parere del ministero delle Regioni è ben diverso. La situazione, fanno sapere, è già chiara: non c’è bisogno di interventi ulteriori sul testo. Ma la presenza di Tria, che sarà al vertice di giovedì,è stata invocata dai 5 Stelle proprio per rimettere in discussione la pietra angolare della fragile intesa sin qui raggiunta.

IN REALTÀ C’È UN SECONDO punto critico: il ruolo che dovrà avere il parlamento nel vagliare il progetto di riforma. Il blitz vagheggiato dalla Lega, che voleva equiparare la riforma agli accordi con le confessioni non cattoliche in modo da risolvere tutto con un voto secco a maggioranza qualificata, senza possibilità di emendare il testo, sembra fortunatamente ormai fuori discussione, anche perché il capo dello Stato ha ricordato ai presidenti delle camere che sta a loro impedire che il parlamento sia esautorato. «Il confronto con il parlamento va bene», concede ora la ministra. Però, aggiunge, «senza dilatazioni eccessive che rendono tutto farraginoso». E’ una formula ambigua. La materia è tanto complessa e riguarda così tante commissioni parlamentari che accelerare troppo i tempi equivarrebbe a spogliare il parlamento delle sue prerogative. Che la riforma riesca a essere varata prima di settembre, come da agenda salviniana, è quindi molto improbabile.