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Autonomia, il senato la fa a pezzi

Autonomia, il senato la fa a pezziIl ministro Roberto Calderoli

Riforme Il servizio bilancio di palazzo Madama denuncia che il disegno di legge leghista penalizzerà le regioni più povere. Il ministro non gradisce e ottiene una mezza retromarcia da La Russa. Toppa peggiore del buco

Pubblicato più di un anno fa

Il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata penalizzerà le regioni più povere. Oppure comporterà la necessità di ingenti compensazioni economiche da parte dello Stato centrale, altro che riforma senza oneri come si promette nel testo. A dirlo che chiarezza e nettezza è il servizio bilancio del senato. Che come per ogni disegno di legge all’esame delle commissioni pubblica le sue valutazioni, indispensabili ai senatori per valutare i provvedimenti che devono votare. Solo che stavolta la critica alla riforma bandiera della Lega è pesantissima e coincide con quello che i tanti oppositori dei piani di Calderoli vanno dicendo da tempo.

Il ministro, comprensibilmente, va su tutte le furie. Anche perché reduce da un comitato di presidenza al mattino, in prima commissione al senato, che ha approvato un calendario lunghissimo di audizioni sulla «sua» legge. Saranno ascoltati 58 esperti per almeno due settimane di lavoro, a cominciare però dalla settimana prossima. La preoccupazione della Lega che la maggioranza stia rallentando l’autonomia per armonizzarla ai tempi più lunghi delle riforme costituzionali sulle quali scommette Meloni è diventata una quasi certezza.

La riforma Calderoli prevede che le funzioni trasferite dallo stato alle regioni andranno sostenute con quote di partecipazione ai tributi. Secondo i tecnici del senato questo vuol dire che «le regioni più povere ovvero quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel territorio potrebbero avere maggiori difficoltà ad acquisire le risorse aggiuntive». Fuori dal linguaggio tecnico, è un’autorevole conferma di quello che i critici dell’autonomia differenziata riassumono nello slogan «secessione dei ricchi». Troppo autorevole, tanto che le proteste del governo convincono la presidenza del senato a ordinare un dietrofront.
Si tratta solo di «una bozza provvisoria, erroneamente pubblicata online», giura una nota di palazzo Madama, scusandosi «con la stampa e con gli utenti per il disservizio». Ma è veramente difficile crederci, anche perché proprio l’account twitter del senato lo aveva pubblicato il 12 maggio: l’«errore» è rimasto online quattro giorni prima di essere notato, casualmente quando è diventato un problema per il governo (dopo che Repubblica che lo ha notato sul Linkedin del senato ha dato la notizia).

Non è nemmeno finita così, perché dopo che per alcune ore il dossier è risultato non raggiungibile sul sito del senato («la pagina richiesta ha generato un errore nel server») a palazzo Madama si sono accorti che la pezza era peggiore del buco. In serata il lavoro del servizio bilancio è tornato disponibile, con una pecetta «Bozza provvisoria non verificata». Mai vista prima su nessun altro documento del serissimo ufficio studi

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