«Ci sono ancora nodi politici da sciogliere». All’ennesima riunione con le regioni, la ministra Erika Stefani non può che ammettere che il tanto annunciato progetto di autonomia differenziata è fermo al palo.

Un mese e mezzo è passato dal Consiglio dei ministri che era stato presentato come risolutivo, ma il braccio di ferro tra 5 Stelle e Lega continua. I confini delle materie per le quali Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna chiedono l’autonomia speciale vanno ancora definiti, «sono temi importanti, dalle infrastrutture alla scuole», ammette Stefani. «I nodi vanno sciolti ed è corretto che vi siano i tempi giusti di elaborazione». Fino a quando? Secondo la Lega è già tardi. «Almeno un primo mattone bisogna posarlo prima delle elezioni europee», ha detto ieri Salvini. Ma di fronte alla frenata grillina – fonti M5S confermano che nulla autorizza a pensare che ci siano stati passi in avanti nella trattativa – prova a farsi minaccioso: «Con le autonomie bisogna andare avanti velocemente. Io sono al governo per dire dei sì, se qualcuno è al governo per i no ha sbagliato compagni di viaggio».

Ma oltre al nodo delle materie, resta da sciogliere quello del dibattito in parlamento. Fino a quanto potrà essere approfondito, tanto da poter modificare il testo degli accordi sottoscritti tra lo stato e le regioni? «Sto aspettando dai presidenti di camera e senato di capire quale sarà l’iter parlamentare», ha detto ancora la ministra Stefani. E non è detto che Casellati e Fico siano della stessa opinione, la presidente del senato sembra infatti più disponibile verso la pretesa leghista di fare degli accordi firmati dal governo un testo blindato, non emendabile dal parlamento. Intanto uno dei vicepresidenti della camera, Rampelli di Fratelli d’Italia, scrive a Fico per sostenere che senza l’approvazione di una legge di attuazione dell’articolo 116 della Costituzione nessuna norma sull’autonomia rafforzata potrà essere correttamente varata. I tempi si allungherebbero a dismisura.

E mentre i presidenti leghisti di Lombardia e Veneto non trattengono la rabbia, accusando i ministri 5 Stelle di voler boicottare la riforma, l’economista Gianfranco Viesti che ha lanciato la prima mobilitazione contro quella che ha definito «la secessione dei ricchi» ha spiegato che il progetto del governo «nasce dalla sfiducia sulla possibilità di stare ancora insieme». Intervenuto ieri a un’iniziativa di Articolo 1 Roma, con il presidente della camera di commercio e il presidente del secondo municipio, Viesti ha ricordato che «questo governo ha appena regalato alla Lombardia tutti i bacini idroelettrici, passati dal demanio statale a quello regionale. Il Piemonte è il prossimo che si aggregherà dopo le elezioni regionali, seguirà anche la Liguria che intende tornare ad una rendita basata sui dazi del porto e delle ferrovie. Poi arriverà la Toscana. E Roma finirà per essere la capitale del Sud».

La riunione di ieri della Conferenza stato-regioni è servita almeno per firmare l’accordo sul taglio dei vitalizi, che anche per gli ex consiglierei regionali saranno calcolati con il metodo contributivo, come avviene per i parlamentari nazionali. Era questa una vecchia richiesta dei 5 Stelle, che andrà a compimento in ritardo rispetto alla scadenza fissata nella legge di bilancio, proprio mentre la forzatura operata in parlamento sta per passare al vaglio degli organi di giustizia interni. Ma Salvini ci ha messo il cappello sopra: «Con la Lega si passa dalle parole ai fatti». Il ministro Fraccaro e il vicepremier Di Maio hanno rilanciato, definendo la giornata «storica» attribuendosene il merito. E al solito largheggiando nella previsione dei risparmi. 150 milioni (in 5 anni) per Fraccaro. Poco più di 20 milioni per il presidente dell’Emilia Bonaccini.