Dopo mesi di scontri sulle bozze, ancora segrete, dell’autonomia differenziata, ieri da Napoli il vicepremier e doppio ministro al lavoro e allo sviluppo Luigi Di Maio ha comunicato che dal testo più conteso del momento saranno eliminate alcune importanti competenze care alle regioni del Lombardo-Veneto governate dai leghisti Fontana e Zaia: «Il farmaco, il rifiuto, la scuola, le ferrovie, le strade, l’innovazione, l’industria, le infrastrutture, i beni culturali» ha precisato, in maniera accurata, il pentastellato. Se non sono la maggioranza delle 23 competenze (per il Veneto) e delle 20 (per la Lombardia, «solo» 16 ne ha chieste l’Emilia Romagna, ancora governata dal Pd), queste sono le materie più importanti chieste dai leghisti per creare la «secessione dei ricchi», un’interpretazione sartoriale della riforma del titolo V della Costituzione, uno dei tanti danni lasciati in eredità dal «centrosinistra» nel lontano 2001. Come nel gioco dell’oca, si torna alla casella di partenza.

L’ANNUNCIO ha lasciato incredula Erika Stefani, la ministra agli affari regionali, delegata leghista all’impresa. «Non capisco di quale nuovo testo sulle autonomie parli il capo del M5S – ha detto -Mi chiedo dove fosse alle ultime riunioni quando ha avuto l’occasione di discutere l’idea di questo osservatorio di cui io sento parlare oggi per la prima volta. Dopo un anno di discussioni mi auguro che nessuno voglia rimangiarsi slealmente la parola e l’impegno, di cui il presidente Conte è garante. Sembra che qualcuno abbia deciso di proteggere una certa cattiva politica deleteria per il Sud».

IL GIOCO DELLE PARTI è ingarbugliato. Si è creato un equivoco tra gli «alleati» a proposito di un «nuovo testo», mentre è probabile che Di Maio abbia alluso alle bozze già esistenti. Proviamo allora a decostruire la commedia in cui tutti, anche i leghisti, dicono di stare dalla parte del «Sud» e del paese. La notizia dell’«Osservatorio» circolava da giorni. Serve a Di Maio per contrapporre le «università del Sud» contro il comitato degli esperti scagliati dal governatore del Veneto Zaia per legittimare la scientificità delle sue amplissime richieste. L’accusa di «slealtà» lanciata da Stefani contro Di Maio si spiega con la dialettica dei tre governi. Il governo della Lega non sa cosa fa quello dei Cinque Stelle. E quello guidato ufficialmente da Conte non sa cosa fanno gli altri due, ripara ai guai prodotti dai falsi avversari. In più, ieri era lunedì. Di Maio, reduce dalla resa sulla Tav, aveva bisogno di cominciare la settimana rilanciando qualcosa di forte su un altro tavolo. L’autonomia gli è sembrata molto forte. I Cinque Stelle hanno già ottenuto lo stralcio della regionalizzazione della scuola. E devono difendere lo strapuntino elettorale del «Centro-Sud», così ha detto Di Maio usando parole studiate.

L’AUTONOMIA, dunque si farà, a condizione di stabilire «i livelli essenziali di prestazioni, il fondo di perequazione e un investimento straordinario per il Sud». Sono le richieste dei Cinque Stelle sul tavolo da mesi. Fino ad ora non hanno cavato un ragno dal buco. Di Maio ha rinnovato la richiesta, accompagnandola con la delegittimazione del lavoro condotto fino ad ora da Stefani. E ha dato un colpo anche agli irrequieti Zaia e Fontana. «C’e’ stata una dinamica di governo – ha detto – per la quale il ministro competente degli Affari regionali ha iniziato un lavoro istruttorio e lo ha fatto con le regioni del suo stesso colore». E ne ha approfittato per dare una carezza anche al governatore della Campania, il Pd De Luca. A Di Maio non è piaciuto che presentasse il suo progetto di autonomia.

DOPO PIÙ DI UN ANNO di governo, il pentastellato si è accorto che l’autonomia proposta dal governo della Lega, con cui è alleato il suo, «per come era stata progettata, andava a discapito non solo delle regioni del Sud, ma anche del centro. La riforma che sta riscrivendo «non danneggerà le altre regioni». E non sarà come quella leghista che «va oltre il concetto di Padania». In pratica, la «secessione dei ricchi» sarebbe peggiore della secessione pura e semplice vagheggiata dalla Lega bossiana delle origini. Ai leghisti attuali non è sembrato un complimento. E così, i fratelli coltelli salvinisti hanno fatto circolare questa reazione: «Anche oggi altri no dai 5Stelle: no alla Tav, no all’autonomia».

DI MAIO ha anche tracciato un percorso diverso da quello raccontato da Conte il 24 luglio scorso alla Camera. «Auspico che ci sia accordo sull’emendabilità del testo stesso. Il presidente Fico è d’accordo, spero riesca a raggiungere un accordo con il presidente del Senato Casellati». A suo avviso, tale possibilità finirà per influenzare la trattativa tra il governo e i governatori. Conte, invece, aveva prospettato solo un passaggio dell’accordo tra il suo governo e i governatori leghisti (e Bonaccini del Pd) nelle Commissioni parlamentari per un parere. Ora, bisogna aspettare il governo numero uno: si adeguerà al nuovo percorso indicato dal numero due? E il terzo, leghista, cosa farà? La serie continua.

QUELLO IPOTIZZATO è un percorso rovesciato rispetto a quello prospettato da Conte, dalla Lega e dai suoi governatori. Per Zaia il governo deve arrivare a una proposta, poi a una «pre-intesa» con le regioni sulla quale il parlamento si esprimerà da notaio. Si accoglieranno le sue osservazioni e, infine, la sospirata firma. «Se questo governo decide di non fare questo progetto, arriverà qualcuno e lo farà» ha avvertito il leghista. Che ha riservato una carineria a chi parteciperà all’osservatorio lanciato ieri da Napoli: «I napoletani se vogliono studiare, facciano un tavolo anche loro, tanti i risultati li sappiamo tutti».

TUTTO BLOCCATO: questo il risultato della giornata. Il ministro dell’economia Tria doveva essere ascoltato sull’autonomia domani. Non si farà vedere. Come il collega dell’Istruzione, il leghista Bussetti. Sono tornati negli spogliatoi. Per consultare gli allenatori. A ciascuno il suo.