Salta l’assunzione diretta dei docenti e la regionalizzazione della scuola dall’accordo sull’autonomia differenziata e i governatori leghisti di Lombardia (Fontana) e Veneto (Zaia) minacciano di non sottoscrivere l’intesa con il governo. Anche se resterà il vincolo di permanenza di cinque anni per le nuove assunzioni dei docenti, il premier Conte e il sottosegretario all’istruzione Giuliano (M5S) ieri hanno annunciato, rispettivamente, di avere preservato l’unità della scuola nazionale e una «vittoria dei Cinque Stelle». Una vittoria di Pirro perché l’impianto secessionista in cui è impegnato il governo resta. A dispetto dello scacco subìto dalla Lega ieri, con Salvini platealmente assente dal vertice a palazzo Chigi, è prevista tra l’altro la regionalizzazione della sanità, delle politiche del collocamento e della ricerca scientifica in un disegno dove le regioni a più alto reddito trattengono una parte maggiore delle tasse raccolte nel proprio territorio, sottraendola alla fiscalità nazionale.

L’OBIETTIVO È un paese con quattro regioni a statuto speciale, due province autonome, tre regioni (che potrebbero diventare almeno sette) con ambiti diversi di autonomia rafforzata e le altre a statuto ordinario; e con un’autorità centrale che si troverebbe a gestire ritagli di competenze, funzioni e fondi residuali. Lo ha confermato la ministra leghista agli affari regionali Erika Stefani: «Su sanità, ambiente, sviluppo economico sono state accolte le richieste delle regioni – ha detto – L’autonomia funziona però se c’è quella finanziaria. Non accetteremo nessun compromesso. Chi riesce a garantire servizi efficienti riuscendo a risparmiare dovrà gestire come meglio crede queste risorse». Sulla ripartizione dei fondi non c’è, ancora, un accordo. Se ci sarà, potrebbe non essere quello dei Cinque Stelle che chiedono l’istituzione di un fondo perequativo, oltre che la fissazione di regole valide per tutti, determinando i livelli essenziali di prestazione (Lep), prima di distribuire risorse. Appuntamento lunedì, anche per discutere sulle soprintendenze. E per il nuovo scontro. Centellinato, goccia dopo goccia. Di veleno.

LA LOGICA del decentramento virtuoso per alcune regioni ricche del Nord e dello sgretolamento per tutte le altre sarebbe anche contrastata dallo stesso Conte che ieri ha fatto balenare non una opposizione all’autonomia – che deve attuare in quanto esecutore del «contratto» del suo governo – ma distinguo sulla disastrosa impresa in corso: «Non è questione di annacquare, io sono responsabile, con i ministri, della funzione di governo che è statale – ha detto – E questo significa che lo Stato cede delle competenze alle regioni. Che lo Stato debba cederle tutte non è un mio auspicio. I governatori non avranno tutto quello che hanno richiesto». Tradotto: potrebbe darsi il caso in cui non tutte le 23 competenze richieste saranno riconosciute al Veneto. Lo stesso vale per le 20 richieste dalla Lombardia e le 16 dell’Emilia Romagna, ancora governata dal Pd. Oltre al colpo sulla scuola è stato proprio questo sospetto a fare uscire dai gangheri gli esuberanti governatori leghisti e a fare scattare la rivolta. «Mi ritengo assolutamente insoddisfatto dell’esito del vertice – ha detto il lombardo Attilio Fontana – Aspettiamo di vedere il testo definitivo, ma se le premesse sono queste, da parte mia non ci sarà alcuna disponibilità a sottoscrivere l’intesa».

IL VENETO LUCA ZAIA ha liquidato la soddisfazione di Conte con poche e significative parole: «Il presidente del Consiglio può dire quello che vuole, parla dell’attività del Consiglio dei ministri ma di certo non delle nostre volontà». Zaia ha contestato il racconto su un vertice cordiale durato meno di un’ora. «Ho dei dubbi sul fatto che nel Consiglio dei ministri siano tutti d’accordo su quello che si sta decidendo. Non comprendo tutti questi festeggiamenti che qualcuno sta facendo». Il governatore si muove come l’antagonista di un governo di cui fa parte per metà e contesta provocatoriamente la fragile autorevolezza di Conte: «Pensavo che fosse così autorevole da chiudere la partita, ma non ho ancora ben capito se l’autorevolezza serva a chiudere o invece a prolungare indefinitivamente l’approvazione dell’intesa». E poi, con parole vagamente ritorsive, Zaia ha infine aggiunto: «Noi veneti ne abbiamo le tasche piene di tutta questa storia – ha aggiunto – A nome dei 2 milioni 328 mila veneti che hanno votato per il “sì” all’autonomia dico che siamo stanchi, stanchissimi. La misura è colma». Si tratta di un’irrealistica secessione fai-da-te o di un più probabile messaggio trasversale a Salvini, indebolito e riluttante a staccare la spina a un governo agonizzante. Su queste basi l’autonomia sembra in un vicolo cieco. Se il governo cade, non c’è più. E se un’autonomia ci sarà, non sarà come la sognano i secessionisti lombardo-veneti. In questo caso l’equivoco dell’ircorcervo legastellato produrrà danni incalcolabili.