A che punto sia il governo sull’autonomia differenziata delle regioni lo dice chiaramente la ministra Stefani durante il question time alla camera: «Stiamo completando l’attività istruttoria e di negoziazione propedeutica alla redazione di uno schema di testo». Siamo cioè lontanissimi da quella conclusione che secondo Salvini sarebbe dovuta arrivare il 15 febbraio scorso. Con le elezioni europee in mezzo e ben altri problemi per l’esecutivo – in bilico sulla Torino-Lione – anche il presidente del Veneto e ultrà dell’autonomia Zaia allunga i termini della previsione: «Il 2019 sarà l’anno della realizzazione, questo è poco ma sicuro».

Ieri la ministra degli affari regionali ha incontrato i tre presidenti delle regioni apripista – oltre a Zaia anche Fontana della Lombardia e Bonaccini dell’Emilia Romagna – e con loro anche il governatore della Campania De Luca che si è aggiunto in corsa all’elenco delle regioni che chiedono maggiore autonomia così come previsto dall’articolo 116 della Costituzione. La strategia di De Luca, aderire al percorso per sabotare l’impostazione anti meridionalista che aveva preso, finisce però per fare anche il gioco della ministra, che ha bisogno di allargare il campo dei richiedenti, meglio ancora se a un esponente del Pd. Nel partito democratico non c’è infatti identità di vedute, visto che con De Luca e altri esponenti meridionali – come il sindaco di Reggio Calabria Falcomatà – convivono l’emiliano Bonaccini e tutti gli esponenti del partito in Lombardia e Veneto che hanno sostenuto il sì al referendum autonomista voluto dai governatori leghisti nel 2017. Il neo segretario Zingaretti, che ha dato qualche segnale di sintonia con Bonaccini, ha annunciato una decisione per i prossimi giorni. Ieri nel corso di un incontro sul tema nella sede del Nazzareno il sindaco di Pesaro e presidente di Legautonomia Matteo Ricci ha ricordato ai compagni di partito che «non dobbiamo essere noi a risolvere le contraddizioni dell’autonomismo differenziato, la palla e le difficoltà stanno in capo al governo».

Le differenti impostazioni si confrontano in questi giorni sul ruolo che dovrà avere il parlamento nell’iter di approvazione dell’autonomia, che dal punto di vista formale prenderà le vesti di diverse leggi rafforzate (da approvare a maggioranza assoluta alla camera e al senato) che recepiranno le intese stato-regioni. Stefani ha ripetuto un po’ ovviamente in aula che «il governo è ben consapevole della centralità delle camere» aggiungendo però che «le forme verranno definite nel rispetto delle prerogative del parlamento».

Secondo Zaia il parlamento può tutt’al più «definire un perimetro di indicazioni generali» prima dell’intesa definitiva stato-regione o «raccogliere tutte le osservazioni» da affidare al governo che recepirebbe «quelle accoglibili». Senza poter emendare le bozze, perché «far cambiare le intese raggiunte da altri sarebbe irrituale». Bonaccini non la pensa diversamente: «Il parlamento non può permettersi di scassare le intese una volta che venissero trovate». Al contrario per De Luca «il passaggio in parlamento è ineludibile e deve avere poteri veri, non si può limitare a ratifiche ma deve entrare nel merito. Ovvio che così i tempi non saranno più quelli accelerati che abbiamo visto».