Il duplice attentato che ha colpito martedì sera il cuore di Bengasi, capitale della Cirenaica e quindi anche simbolicamente del potere del generale Kalifa Belqasim Haftar lasciando ufficialmente 34 morti, tra cui Ahmed al-Fituri, comandante dell’intelligence di Haftar, e 87 feriti, molto probabilmente segnerà una pietra miliare. Niente sarà come prima. Non soltanto perché si tratta del più sanguinoso attentato del dopoguerra libico, ma anche per le tante esternazioni di solidarietà che in questo frangente sono arrivate al generale cirenaico e proprio a partire dalle sue «amicizie» più imbarazzanti.

IL GENERALE del controspionaggio morto, Mahdi Falah, rimasto solo leggermente ferito nello scoppio della prima autobomba, che è deflagrata davanti alla centrale moschea di Biat al Radwan proprio all’uscita dei fedeli dalla preghiera della sera, è considerato il vero obiettivo degli attentatori. Il suo luogotenente al-Fituri sarebbe stato investito dalla seconda esplosione, avvenuta a una ventina di minuti dalla prima, per essere accorso al suo capezzale. Entrambi fanno parte di un gruppo salafita irregimentato da tempo nelle fila dell’Esercito nazionale libico (Lna), la milizia di Haftar.

Sono «madkhalisti», cioè salafiti seguaci del fu sceicco saudita Rabi al Madkhali, nemico acerrimo delle dottrine sufi e della Fratellanza musulmana, e per tanto invitato dal Colonnello Muammar Gheddafi in Libia negli anni Novanta per contribuire al contrasto del salafita-jihadismo di al-Jama’a al-Islamiya al-Muqatila, il Gruppo combattente islamico libico che minava dall’interno il suo potere. In anni più recenti parte dei «madkhalisti», che gli altri salafiti insultano come «spie dei sauditi», si sono distribuiti tra i due poteri in cui si divide la Libia di oggi: il gruppo con Haftar (le due Brigate al-Tawhid) ha partecipato all’assedio di Sirte per cacciare l’Isis e combatte contro le Brigate di Difesa di Bengasi, mentre il gruppo che appoggia il premier di Tripoli Fayez Serraj è andato a ingrossare le file delle forze speciali (Rada) che giusto dieci giorni fa sono riuscite a respingere l’assalto dei jihadisti di Tajura all’aeroporto internazionale Mitiga di Tripoli. Un’unione politica tra le varie frange di salafiti «madkhalisti» finora non si è verificata.

Molte condoglianze e manifestazioni di solidarietà sono arrivate ieri ad Haftar, dal ministro britannico Boris Johnson all’omologo algerino, dall’ambasciatore italiano Giuseppe Perrone . Il «feldmaresciallo» finora non riconosciuto dalla comunità internazionale altro che comne un ribelle e che invece tanto vorrebbe presentarsi alle elezioni – ancora convocate – ieri è stato ricevuto, foto ufficiali di rito, dall’inviato speciale delle Nazioni Unite Ghassam Salamé nei suoi uffici di Bengasi. I due, stringendosi la mano, hanno concordato – dice il comunicato ufficiale pubblicato dal sito al Wasat – «sull’importanza di tenere le elezioni generali libiche entro il 2018».

DAL CAIRO anche il governo egiziano, sponsor della prima ora di Haftar, ha espresso una dura «condanna per l’atto terroristico» di Bengasi ma nel farlo ha invitato la comunità internazionale a «prendere una posizione ferma nel combattere il contrabbando di armi in Libia» e «svuotare il finanziamento del terrorismo in Libia». L’accusa, neanche tanto velata, è alla Turchia per la nave Andrometa, partita dal porto turco di Mersin, fermata dai guardiacoste greci a largo di Creta il 9 gennaio scorso con 29 container di esplosivi diretti a Misurata, in violazione dell’embargo armiero Onu.

COME VENDETTA per la strage in serata il comandante – formalmente sospeso – di Haftar Mahmoud Warfalli ha giustiziato dieci detenuti legati e bendati davanti alla moschea Biat al Radwan, come documenta il sito Libya Express. Warfalli ha poco da perdere, è già ricercato dalla Corte dell’Aja per esecuzioni extragiudiziali.