David Lodge ottenne una certa popolarità negli anni ’90 con i suoi divertenti romanzi di ambiente accademico: malgrado la maggior parte dei suoi lavori sia stata tradotta in italiano, il suo nome resta legato alla trilogia Scambi, Il professore va al congresso e Ottimo lavoro, professore, mentre la sua saggistica teorica e critica, un tempo largamente utilizzata nelle nostre accademie, è pressoché dimenticata. La corposa autobiografia di Lodge, appena uscita da Bompiani con il titolo La fortuna dello scrittore Memoir 1976-1991 (traduzione di Mary Gislon e Rosetta Palazzi, pp. 461, € 34,00) tratta proprio il periodo che coincide i successi della trilogia accademica, e tuttavia chi avendone conosciuto la verve travolgente e la sagacia si avvicinasse al memoir sperando di trovarvi maliziose rivelazioni sulla genesi delle sue opere, si prepari invece a una pedissequa relazione sui successi professionali dell’autore, senza aggiunte significative sulla vita privata, e nemmeno sulla sua scrittura romanzesca.

Lodge entra nei propri libri con l’occhio dello studioso di letteratura, si dilunga ampiamente sulle teorie esaminate nei suoi saggi critici, disquisisce fin dalle prime pagine sulla propria fede cattolica che, del resto, risulta informare gran parte delle sue scelte, e soprattutto sull’annuale Booker Prize, dalla scelta dei candidati alla cerimonia di premiazione, con successiva cena di gala. Inutile cercare commenti critici originali su colleghi, candidati o giurati, poche anche le parole spese per le opere in concorso, a volte elogiative, come nel caso de L’impero del sole di Ballard o Quel che resta del giorno di Ishiguro, più spesso dubitative, specialmente se il raffronto è con autori non britannici (valgano per tutti, il caso di Oscar e Lucinda di Peter Carey, un’opera fondamentale della letteratura postcoloniale anglofona, definito sbrigativamente «una specie di favola», o la frettolosa liquidazione di J. M. Coetzee). Corredato da una serie di (brutte) istantanee in bianco e nero tolte dall’album personale dell’autore, il volume è utile agli studiosi dell’opera di Lodge tanto quanto risulterà noioso per il resto dei suoi potenziali lettori.