Mimmo Lucano lo ha sempre detto: «Per me è più importante la giustizia che la legalità». Inscrivendosi candidamente in una corrente di pensiero di «disobbedienza civile che risale all’antica Grecia e arriva fino a Thoreau, Arendt e don Milani. Tutti autori che, nell’eterno e tragico conflitto tra la legge, i suoi limiti e l’ideale assoluto di giustizia, scelsero la seconda via. Al contrario di Socrate o dell’inappuntabile uomo di legge che fu il capitano Bellodi del Giorno della civetta di Sciascia.

Una drammatica discrasia – tra legge e giustizia – nella quale si annida la scelta: quella di rispettare, o meno, la legge e di restare, o meno, nei suoi limiti, anche quando essa dà origine a situazioni di ingiustizia morale, politica o sociale. L’uomo di legge Bellodi, tra il vagheggiamento di un’utopica giustizia sostanziale e la concretezza della norma formale, sceglie di restare aderente alla garanzia del diritto, e saldamente, nonostante tutto, entro i suoi confini. Altri, nella storia del pensiero, hanno percorso o teorizzato un’altra strada: quella della resistenza, della disobbedienza.

LUCANO È UN «FUORILEGGE» come lo è stato Thoreau. «In generale non è dovere dell’individuo dedicarsi a sradicare ogni male, fosse anche il più abietto; può benissimo dedicarsi ad altre occupazioni; ma è suo dovere tenere le mani pulite», diceva il filosofo statunitense. «A che serve avere le mani pulite se le si tengono in tasca?», si domandava, in altro luogo e in altri tempi, don Milani colui che applicò la disobbedienza civile nel difendere l’obiezione di coscienza alla coscrizione militare. L’ex sindaco di Riace, sotto processo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta rifiuti, la sua storia di disobbediente del nuovo secolo l’ha messa nero su bianco in un libro Il Fuorilegge (Feltrinelli, pp. 192, euro 15).

Non una vera e propria autobiografia e neanche un manifesto politico. Piuttosto una miscellanea di pensieri, un caleidoscopio di una sinistra coerente coi propri ideali e non disposta a piegarsi a conformismi, pastoie politiciste o assemblaggi di ceto politico. Un dedalo di ricordi in cui l’autore immerge il lettore alla ricerca di quella utopia che con Lucano è diventata realtà. «Se vengo considerato un fuorilegge ne sono fiero perché ciò è valso a salvare vite umane», è solito ribadire in ognuna delle cento presentazioni in giro per l’Italia che si sono svolte prima che la fase 2 del Covid ne decretasse la sospensione.

«La nostra è una piccola comunità che si sta dissanguando. Sappiamo che il nostro futuro è altrove». Era il 1999 quando questo professore di chimica ebbe l’idea di restituire al suo paese ormai deserto una speranza.

OGGI NELLE CASE un tempo abbandonate del centro di Riace, vivono centinaia di rifugiati, che in un sistema di accoglienza diffuso hanno potuto ricostruire le loro famiglie e hanno rimesso in moto l’economia del paese. A Riace non esistevano più agricoltura e allevamento. L’unica possibilità per gli abitanti era fuggire. Poi l’accoglienza ha cambiato tutto. Attorno ai richiedenti asilo sono nati posti di lavoro: negli asili, nelle scuole multilingue, negli orti biologici. Le case sono state ristrutturate e il paese ha avuto di nuovo il suo sistema di illuminazione. I ristoranti e le botteghe hanno riaperto. Era questo il sogno di Lucano: ridare nuova vita a Riace. E c’è riuscito: ha ridato linfa all’identità dei luoghi facendola diventare un’opportunità. «Abbiamo capito subito che ammassare gli immigrati in una camera, come in un albergo, non portava a niente: si sarebbe fermato tutto là, senza portare rigenerazione sociale al territorio».

Ma Lucano, come detto, è un «fuorilegge». Il 2 ottobre 2018, mentre gli Interni erano sotto la responsabilità di Salvini, venne arrestato con le note accuse. La sua storia è quella dell’Italia, perché egli ha avuto il coraggio di indicare il confine oltre il quale una democrazia tradisce i propri valori fondamentali. E la sua vicenda ha come sottotitolo una domanda radicale, forse spaventosa, ma necessaria: si può infrangere una legge ingiusta? Il racconto di Lucano è al contempo personale e collettivo, è una babele di piccoli gesti che diventano grandissimi. È una testimonianza diretta e profonda. Che ci invita ad aprire gli occhi su chi siamo e, soprattutto, su chi vogliamo essere.

TUTTO QUESTO in terra di Calabria, dove il concetto di legge è del tutto relativo. E dove può capitare che il giorno dopo la 14ma udienza con Lucano imputato, qualcuno a Palmi appicchi impunemente il fuoco alla macchina del presidente della fondazione che cerca di far rinascere Riace, Enzo Infantino, dopo un raid vigliacco, una casa tra le fiamme, un’auto distrutta e una famiglia illesa per miracolo. E dove può capitare che il murales dedicato a Peppino Impastato, nato da un’idea del giornalista Francesco Cirillo e realizzato quest’estate all’ingresso del borgo dall’artista Giusy Marruzzo, venga nottetempo vandalizzato. Chiamala, se vuoi, legalità.