Nel 2022 ricorre il cinquantenario di un anno memorabile, quello della fioritura della consapevolezza social-ecologica mondiale. Mai come nel 1972, infatti, furono poste tante pietre miliari per l’avvio di una transizione social-ecologica planetaria.
In quell’anno, per esempio, fu pubblicato lo studio per il Club di Roma The limits to growth (I limiti alla crescita) di Donella Meadows e altri. Tradotto in decine di lingue e venduto in decine di milioni di esemplari, contribuì al risveglio delle scienze e delle coscienze sull’impossibilità di raddoppiare all’infinito tutto ciò che fabbrichiamo.

Nello stesso anno si svolse a Stoccolma la prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano, seguita da altri due summit mondiali social-ecologici dell’Onu nel 1992 a Rio de Janeiro e nel 2012 a Città del Capo. Nel 1972, furono creati il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, Unep, e i primi ministeri dell’ambiente, oggi duecento. Furono fondati i primi partiti verdi, oggi un centinaio. Fu fondata Greenpeace, oggi la più grande associazione social-ecologista del mondo.
In mezzo secolo cosa ha ottenuto questo slancio riformatore?
I dati statistici parlano chiaro.

Al di là di progressi locali nei paesi ricchi, l’andamento di quasi tutti i parametri della salute planetaria è in accelerato peggioramento.

I grafici, però, difficilmente impressionano. Le esperienze personali, invece, lasciano il segno. Ne voglio raccontare una. Di recente un collega mi ha accompagnato in città con la sua splendida vettura. In fondo al tachimetro leggevo 320 km/h. Il reddito del collega è alto, ma non più di quello di centomila altri italiani. Il suo bolide, quindi, può essere considerato un potenziale «lusso di massa». Dopo questa corsa nel traffico a 30 km/h, mi sono posto alcune domande. Con Google ho scoperto che dal 1972 al 2022 la velocità massima dei bolidi che vediamo spesso sulle strade è passata mediamente da 180 a 320 km/h, con un’accelerazione dell’80%. Alcuni modelli più rari possono raggiungere anche i 400 o 500 km/h. Anche il peso e il volume delle vetture di massa sono aumentati. E il numero delle vetture nel mondo è quintuplicato. Inoltre, i progressi dell’efficienza dei motori sono stati più che compensati dall’ipertrofia, dalle maggiori prestazioni e dal numero delle nuove vetture. Infine, oggi la velocità massima di quasi tutte le automobili è uguale alla velocità massima che cinquant’anni fa raggiungevano solo i bolidi. Con Google ho trovato anche che in mezzo secolo la concentrazione di CO2 nell’aria è aumentata del 20%, con una velocità mai vista prima. L’accelerazione è la cifra della nostra epoca.

GLI EFFETTI ECOLOGICI DIRETTI DI 100 MILA BOLIDI da strada sono già un carico ambientale considerevole. Molto più gravosi, però, sono i loro effetti indiretti. La concezione di molte vetture di massa, infatti, si ispira in parte al mito dei bolidi. A rendere attrattive le vetture «maggiorate» ci pensa poi il marketing: La città è una giungla. Dominala, dice una réclame. Rispetto alle vetture più diffuse, un bolide consuma più del doppio di energia ed emette il triplo di CO2. Eppure, un quotidiano titola Sostenibile ed etico un articolo su un bolide da 320 km/h, 700 cavalli di potenza (come nove Fiat Punto) e 300 grammi di emissione di CO2 per chilometro (come tre Fiat Punto). Questo presunto impegno ecologico ed etico dell’industria della velocità è «avvalorato» proprio dal ministro della transizione ecologica, che prima di diventare ministro, lavorava per promuovere la «sostenibilità» e il commercio dei bolidi di un grande costruttore. Tra gli effetti indiretti dei bolidi stradali c’è anche la legittima comparazione tra i piccoli risparmi e i grandi sprechi. Perché un cittadino dovrebbe fare sacrifici per ottenere piccoli risparmi di energia e di CO2, quando altri senza alcun sacrificio causano enormi sprechi? Negli ultimi decenni, lo avrete notato, le vetture di massa sono state gonfiate. Sono diventate più voluminose, pesanti, potenti, veloci, aggressive. Le loro «facce» sono spesso ostili. Nel 1972, per esempio, le «facce» delle vetture di massa – pensate a una Fiat 500 – sorridevano. Oggi molte di esse sono minacciose, come se dovessero affrontarsi nella «giungla della città». Dagli scappamenti dei bolidi e dei giganteschi fuoristrada esce oggi un ruggito roco, modellato da ingegneri del suono. Quando i bolidi più agguerriti sgommano ai semafori, dai loro scappamenti a volte esce un lapillo di fuoco, programmato dagli psicologi del marketing.

L’AUTOMOBILE È L’INVENZIONE CHE PIÙ HA CAMBIATO la faccia della terra. Essa ha influenzato il modo di vivere e di morire di miliardi di persone e il loro consumo di materiali e di energia, nonché l’inquinamento, la salute, la struttura urbanistica, l’edilizia, il paesaggio, le guerre per il petrolio. L’automobile è quindi un buon «termometro» della civiltà dei consumi e della mente dei consumatori. L’automobile, infatti, non è solo automobile. È status, potenza, potere, velocità, competizione, bellezza, seduzione, desiderio, sogno, sperpero, dissolutezza. È a questi fattori che si orienta il marketing quando concepisce una vettura. La materia prima di un’automobile sono le emozioni, non le lamiere. Eppure, già negli anni ‘70 fu proposto di moderare per motivi ecologici i limiti di velocità sulle strade e di autorizzare la costruzione solo di veicoli tecnicamente conformi ai limiti. Che senso ha, infatti, fabbricare vetture che possono sfrecciare a 200 o 300 all’ora su strade dove è illegale superare i 110 o al massimo di 150 km/h? Se cinquant’anni fa fossero stati adottati limiti ecologicamente ragionevoli alla velocità delle vetture, da decenni il parco macchine mondiale sarebbe più sicuro, leggero, economico, duraturo, ed ecologico. In effetti, usare una flotta di vetture quasi tutte sovradimensionate come le attuali, equivale a usare un furgone per trasportare la borsa della spesa. Una flotta di vetture moderate avrebbe fatto risparmiare dal 1972 non solo tante vite umane e tante tonnellate di materiali e di petrolio, ma anche migliaia di miliardi di euro, che avremmo potuto investire in tecnologie per energie rinnovabili, in scuole, in salute e in edilizia popolare.

DA MEZZO SECOLO L’ACCELERAZIONE DELLA CORSA della società industriale somiglia all’accelerazione della corsa dei bolidi da strada. La macchina mondiale della produzione e dello spreco è sempre più veloce. Negli ultimi due secoli (l’era dell’Antropocene) i parametri del detrimento ecologico mondiale sono cresciuti sempre più rapidamente. Negli ultimi cinquant’anni, però, i parametri si sono letteralmente impennati . Per questo La grande accelerazione è il titolo che lo storico John McNeill ha dato al suo libro che esamina la recente dinamica della consunzione del nostro mondo.

QUELLA LENTA CORSA URBANA A 30 KM/H su una vettura da 320 all’ora mi ha fatto riflettere sulla credibilità dei politici al potere dell’ultimo mezzo secolo e specialmente su quella dei loro successori attuali. Se in cinquant’anni i politici al potere non sono riusciti a realizzare una riforma così modesta come l’attuazione di un sistema di trasporto automobilistico ecologicamente ragionevole, come potranno essi riformare l’intero sistema tecnologico del pianeta in pochi decenni? La proliferazione di automobili sempre più veloci è un dolente segnale della dinamica dissipatrice della nostra civiltà. Se presto non constateremo una «grande decelerazione» dei bolidi da strada e delle vetture in generale, allora sarà difficile sperare di conseguire una «grande decelerazione» di tutto il resto.

* già docente di politiche ambientali al Politecnico federale di Zurigo