Federmeccanica e sindacati avevano chiesto di essere convocati a palazzo Chigi per provare a salvare il settore dell’auto dopo il nulla prodotto dal ministro Giorgetti al Mise. Per tutta risposta, oggi Draghi ha convocato i soli ministri «competenti». La riunione è convocata per le 10,30 e dovrebbero parteciparvi oltre a Giorgetti i ministri Daniele Franco, Enrico Giovannini, Andrea Orlando e Roberto Cingolani.

FA BUON VISO A CATTIVO GIOCO la segretaria generale della Fiom Francesca Re David: «È un fatto importante che si riuniscano presso la Presidenza del Consiglio tutti i ministri competenti sull’automotive. Ci auguriamo che dopo segua la convocazione richiesta da Federmeccanica e Fim Fiom Uilm», commenta.

Nel frattempo la minaccia di dimissioni di Giorgetti – che voleva Draghi al Quirinale immaginando una sorta di semipresidenzialismo de facto – è rientrata e il ministro leghista si è lanciato in dichiarazioni anti cinesi degne del populismo che ha sempre sostenuto di combattere nella Lega: «Dobbiamo considerare chi controlla le materie prime ed evidentemente questo soggetto non si trova in Europa. Facciamo attenzione perché stiamo consegnando il futuro del settore auto a un soggetto che sta fuori dall’Europa», ha detto a Opening, presso la Camera di Commercio Italo-Germanica, lunedì.

SE I RUMORS VIRANO AL BELLO sull’investimento di Stellantis per la gigafactory di batterie elettriche a Termoli (grazie a 370 milioni di incentivi pubblici, naturalmente) messo in forse da Carlos Tavares la settimana scorsa, la situazione dell’automotive è ancora tremenda. In attesa del piano industriale di Stellantis – che ieri ha presentato l’Alfa Tonale anche in versione ibrida ed elettrica – che potrebbe riservare amare sorprese a Cassino, Melfi, Pomigliano e Mirafiori che si attendono l’assegnazione di nuovi modelli per poter tornare al lavoro con continuità invece che annegare negli ammortizzatori sociali.

IERI LA FIOM DI CHIETI ha attaccato frontalmente Stellantis per la gestione dello stabilimento Sevel di Atessa dopo che è stato annunciato e poi cancellato un sabato lavorativo, quello del 5 febbraio «per mancanza di approvvigionamenti» con effetto anche sui turni di lunedì: «Non possono essere problemi legati esclusivamente alla mancanza di componenti. Secondo noi siamo in presenza di una strategia di Stellantis atta a mettere in difficoltà gli stabilimenti italiani. Se il mix produttivo di Sevel vede ormai da mesi un’alta produzione di furgoni a marchio Psa, relegando il Ducato a percentuali bassissime. È ormai evidente che la linea di comando sta cambiando. Sempre più responsabili graditi a Psa prendono le redini delle fabbriche italiane e, in questo contesto, non è accettabile il disorientamento che stanno subendo i lavoratori. Sappiamo che in Polonia a partire da aprile si avvierà la produzione di furgoni in prevalenza marchio Psa», chiude la nota durissima della Fiom Chieti.

I POSTI DI LAVORO A RISCHIO calcolati da Federmeccanica e sindacati sono «73 mila totali, di cui 63 mila nel periodo 2025-2030» quello in cui dovrebbero sentirsi gli effetti del Pnrr che per «l’automotive non ha previsto niente», come ha denunciato la Fiom.

L’ELENCO DI CHI HA GIÀ PERSO il posto di lavoro o è già considerato esubero è lungo. La più colpita è la città di Bari, già scesa in piazza sabato per le tante vertenze – non solo dell’automotive – sul suo territorio. Ad annunciare esuberi sono state due multinazionali da decenni presenti a Bari: la Bosch ha formalmente dichiarato ai sindacati 700 esuberi su un organico di 1.700 persone entro i prossimi cinque anni. La Marelli ha annunciato un esubero entro giugno di 550 dipendenti su un totale in Italia di 7.900 occupati.

FEDERMECCANICA e Fim, Fiom e Uilm sono molto preoccupati per l’intero settore della componentistica, fatto da aziende spesso piccole che soffrono maggiormente la transizione verso l’elettrico: le auto di questo tipo hanno almeno un 30 per cento di componenti in meno. La stima fatta è di ben 101 aziende a rischio per un totale di 26 mila posti a rischio che farebbero meno rumore delle chiusure di realtà più grandi ma lo stesso danno sociale.