L’ufficio del Garante dei dati personali ha tenuto la sua relazione conclusiva lo scorso 23 giugno e il bilancio presentato dal presidente uscente Antonello Soro è stato indubbiamente ragguardevole.

Purtroppo, forse a dimostrazione della presa d’atto di una consiliatura debole e traballante (le cui colpe non stanno in capo al solo Angelo Cardani), l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si è limitata a consegnare il suo scritto di sintesi dell’attività ai due presidenti delle camere: la scorsa settimana a Elisabetta Casellati, oggi a Roberto Fico.

Del consuntivo della privacy si è scritto nella rubrica del 24 giugno. La relazione del 2020 dell’Agcom si trova sul sito. E merita qualche parola, ancorché non vi siano particolari novità o suggestioni rilevanti.

Tuttavia, è giusto parlarne anche per dare atto alle strutture competenti di avere assolto ai propri impegni.

Le 261 pagine percorrono i diversi settori di competenza (dai media classici, ai servizi in rete, alle poste) con uno spirito compilativo e alquanto scolastico.

D’altronde, a consuntivo si può rilevare come all’autorità in questione sia mancata una visione, mentre è sembrato prevalere un faticoso adeguamento alle turbolenze dell’attualità. Ma più don Abbondio che Robin Hood.

Le uniche «intemperanze» si sono appalesate nel regolamento sul copyright on line, forte con i deboli e innocuo nei riguardi degli Over The Top, gli oligarchi della rete; nonché nella recente delibera (passata a maggioranza) punitiva verso la Rai, presto bloccata dal tribunale amministrativo.

Sul tema di nuovo attualissimo (a breve si voterà per regionali, comunali e referendum sul taglio dei parlamentari) della par condicio, il compendio si limita a intitolarvi un capitolo quasi asettico. Mentre infuria la bufera e sul ponte televisivo invecchiato e pur sempre tossico sventolano le bandiere di Salvini e del ritrovato Berlusconi.

Naturalmente, nella premessa Cardani si sofferma sulle conseguenze dolorose del Covid-19, a partire dalla flessione del 2,8% rispetto all’anno passato del valore complessivo dei mercati regolati dall’autorità (52,3 miliardi di Euro), laddove la caduta diviene inquietante nel comparto editoria (oltre il 9% su base annua, il 25,7% per il periodo 2015-2019).

Un passaggio meritevole di riflessione riguarda il contesto europeo.

Sono, infatti, in fase di recepimento, ma con tempi biblici, numerose direttive: due sul diritto d’autore (Eu/19/789, Eu/19/790); quella sui servizi media audiovisivi (Eu/18/1808), il codice delle comunicazioni elettroniche (Eu/ 18/1972). Qui, forse, una zampata ci voleva, segnalando al parlamento l’urgenza indifferibile di normative non rinviabili.

Anzi. Sul copyright potrebbe essere accolta la richiesta di eliminare ogni tentazione censoria e il testo sui servizi Smav andrebbe aperto all’inserimento di modifiche sostanziali del Testo unico sulla radiodiffusione n.177 del luglio 2005, voluto dall’ex ministro Gasparri.

Rimane insoluta, invece, la spinosa vicenda del regolamento atteso da mesi sul tema delle quote obbligatorie di produzione delle opere italiane ed europee. Non c’è e non sembra alle viste.

Perché? Per il resto, un buon vademecum, percorso da un velo di mestizia, per il tempo ormai scaduto, che comporta qualche impietoso esame di coscienza.

Del resto, l’impostazione che fu data alle autorità un ventennio or sono era proprio un’altra: luoghi autonomi e indipendenti, privi di conflitti di interesse e di relazioni pericolose, tutori delle libertà e del lavoro.

Tuttavia, il giudizio severo sul consiglio uscente andrà messo in rapporto con la fisiologia del gemello entrante. Senza offese personalizzate e pre-giudizi, un vento spira attorno all’ultimo mosaico varato ieri.

Come nell’amaro film Good Bye, Lenin!, dove alla madre in coma veniva fatto credere che c’era ancora il Muro di Berlino, qui persiste nella realtà viva- indefesso – il «patto del Nazareno».

Parliamo dell’Agcom: un caso di scuola, in cui Mediaset fa e disfa a piacimento. E il resto del mondo? O si volta dall’altra parte o è connivente.

Le comparsate nei generosi talk valgono bene una scheda con nominativi inviati dai capigruppo. Per fortuna, almeno una parte della sinistra – Sinistra italiana- si è opposta. Che tristezza.