In Grecia come in Austria. La differenza ormai è solo una questione di latitudini, ma il modo di morire è lo stesso per tutti: asfissiati dentro la stiva di una caretta del mare, come è successo pochi giorni fa nel canale di Sicilia a 52 migranti, oppure nel cassone di un Tir, come accaduto invece giovedì a 71 profughi abbandonati senza vita lungo un’autostrada austriaca. Ma anche nella stiva di uno yacht noleggiato insieme ad altri disperati nella speranza di passare inosservati e di riuscire così ad arrivare in Europa. E finendo invece i propri giorni soffocato per mancanza d’aria. Sarebbe morto così un ragazzo di appena 15 anni, presumibilmente siriano, che viaggiava insieme ad altri 59 profughi su un battello fermato davanti all’isola di Simi, in Grecia, da una nave del dispositivo Frontex che aveva cercato di speronare. Fino a ieri sera c’era incertezza sulle vere cause del decesso. Secondo alcune ricostruzioni, infatti, il ragazzo potrebbe essere stato colpito durante uno scontro a fuoco tra i trafficanti che si trovavano a bordo dello yacht e i militari.

Sono stati più fortunati i tre bambini ritrovati in fin di vita dalla polizia austriaca. Anche loro erano chiusi nel cassone di una Tir insieme a 26 profughi provenienti da Siria, Afghanistan e Bangladesh. Gli agenti hanno fermato il camion nei pressi di St. Peter am Hart, comune non distante dal confine con l’Ungheria, in Alta Austria. L’autista, un rumeno che ha tentato di fuggire, è stato arrestato. Quando hanno aperto il portellone posteriore gli agenti hanno trovato i profughi tra i quali i tre bambini i condizioni disperate: disidrati e in uno stato di stordimento per la mancanza di acqua e per l’alta temperatura all’interno del cassone sul quale viaggiavano. Ora si trovano nell’ospedale di Braunau e le loro condizioni non destano preoccupazioni, ma stando ai medici se fossero rimasti sul camion non avrebbero potuto resistere ancora a lungo.

Tra un mese, alla fine di settembre, a New York l’Onu discuter di quanto sta accadendo in Europa, nel canale di Sicilia come lungo la rotta dì terra che attraversa i Balcani occidentali. L’annuncio di una sessione speciale alla quale parteciperanno i capi di Stato e di governo è stato dato venerdì dal segretario generale Ban Ki moon e apprezzato ieri dal Vaticano anche se, ha precisato il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, «un po’ tardivo». Nel frattempo la crisi dei profughi è sempre più drammatica, come dimostrano e cronache di questi giorni con le quali anche l’Ue è costretta a fare i conti. Settembre potrebbe essere un mese decisivo. Per i primi dieci giorni, infatti è stata fissata la plenaria nella quale si discuterà dei sulla ricollocazione di 35 mila richiedenti asilo sbarcati in Italia e Grecia. Ma l’appuntamento più importante è quello del 9 settembre, giorno in cui è previsto il discorso sullo stato dell’unione del presidente della commissione Ue Jean Claude Junker.

Uno dei punti principali, se non il più importante, sarà proprio quello relativo all’immigrazione e alle politiche do Bruxelles dovrà adottar fin dalle prossime settimane. Non è detto però che tutto fili liscio: Juncker è un convinto sostenitore della ripartizione obbligatoria dei richiedenti asilo tra i 28 così come della necessitò di mettere mano al regolamento di Dublino, linea sulla quale si attestano sicuramente anche Italia, Grecia e Germania. La cancelliera Merkel appare decisa a cambiare la linea di chiusura adottata fino a oggi. Ma la strada è in salita, come dimostrano le affermazioni fatte ieri dal premier slovacco Robert Fico, che dopo aver dichiarato «fallita» la politica dell’Ue ha ribadito che Bratislava si opporrà alla ripartizione obbligatoria dei profughi. L’Ungheria ha invece bloccato il traffico di treni locali al confine con la Serbia nella speranza di mettere un argine al passaggio dei profughi.

Sono 116 infine i corpi dei profughi – tra i quali molti bambini – deceduti nel naufragio dei barconi al lago di Zuwara, in Libia. Secondo la Mezzaluna rossa le vittime potrebbero essere più di 300. Altri 142 migranti sono stati soccorsi invece sempre al largo del Paese nordafricano dalla nave inglese Protector. In Gran Bretagna, invece, è stato scarcerato il camionista italiano sul cui camion erano stati trovati dei profughi. L’uomo era del tuto ignaro che i migranti si trovassero a bordo del mezzo.