Un presidente della Repubblica verde, Alexander Van der Bellen, che infine ha prevalso sulla destra xenofoba, un nuovo cancelliere, Christian Kern (nella foto), ex direttore delle ferrovie, non tecnocrate, che ha già dato segnali a sinistra – «dobbiamo riconquistare l’egemonia sulla destra riaffermando i principi fondamentali socialdemocratici» -, l’opposto della ricorsa a destra praticata dal predecessore Werner Faymann. Potranno cambiare la politica austriaca dei muri verso gli immigrati e i rifugiati? È presto per dirlo.

Intanto giorni fa al Brennero è stato aumentato il numero di poliziotti inviati dal ministro degli Interni Wolfgang Sobotka. Mercoledì il presidente della Repubblica uscente Heinz Fischer ha ratificato l’emendamento restrittivo del diritto d’asilo varato dal governo di coalizione tra socialdemocratici e popolari prima dell’arrivo di Kern e dei suoi 4 nuovi ministri. La nuova legge autorizza a respingere qualunque domanda d’asilo nel caso venga proclamato lo stato d’emergenza. Non metterla in discussione è stata una condizione dei popolari per accettare il ricambio radicale al vertice dei socialdemocratici. Kern ha dovuto abboccare, ma ha chiarito che il quando e il come applicare questa legge dovrà essere ancora discusso. Nel suo primo discorso in parlamento ha annunciato di voler aprire l’accesso al lavoro ai richiedenti asilo fin dal loro arrivo per promuovere l’integrazione di chi già è arrivato in Austria.

Chi già è arrivato però all’improvviso può anche sparire. Come è successo lunedì a Enzersdorf, un paesino di poche centinaia di anime in Bassa Austria. Domenica c’era una festa, la prima tra la ventina di afghani accolti e gli abitanti che via via hanno lasciato cadere la diffidenza iniziale. Kabeli, riso basmati con carote, uvetta e manzo e altri piatti afgani, performance del Kontaktchor, il coro misto tra afgani e autoctoni, una quattordicenne afgana tiene un discorso in tedesco, già un po’ imparato grazie al lavoro del gruppo locale «Aiutiamo insieme». Clima di allegria e condivisione. Poche ore dopo intorno alle sette del mattino quattro poliziotti bussano alla porta di casa e portano via una giovane famiglia, Naser 28 anni, la moglie Afsaneh 22 anni con i due figli Benjamin di 8 e Ateve di 5 anni. I quattro vengono portati in un centro a Vienna Simmering, Zinnergasse.

«Volevo salutarli e portarli cose e soldi» -ci dice Barbara Gabriel che li seguiva da vicino – «ma non mi hanno fatto entrare». La stessa cosa è accaduto agli altri volontari accorsi. Sono disperati, il loro lavoro di supporto, spezzato. Naser doveva terminare la cura dei denti, i bambini iniziare una terapia specialistica per i traumi subìti. Niente. Mercoledì la famiglia è stata espulsa in Croazia. Un caso così detto «di Dublino»: secondo l’Austria compete alla Croazia trattare la loro domanda d’asilo. Dalla Croazia rischiano espulsioni a catena verso la Serbia, come già accaduto in febbraio con oltre 200 rifugiati respinti al confine sloveno. La Serbia è considerata un paese non sicuro perché non svolge procedure d’asilo. Insomma una riapertura della rotta balcanica ma a ritroso, in direzione opposta e con destinazione incerta.

Il fatto grave e particolare è – ci spiega Roland Hermann consulente legale della Caritas di Vienna – che quella famiglia è arrivata in Austria con la grande ondata di popolo in fuga tra l’estate e l’autunno scorsi, quando il «ce la facciamo» di Angela Merke,l sostenuto inizialmente anche dall’Austria, aprì i confini dei paesi di transito. Metterlo in discussione retroattivamente chiamando in causa il regolamento di Dublino? In questo caso non è applicabile perché vale solo nei casi di ingressi «illegali», dice Herman, che sta trattando un altra decina di casi simili.

La famiglia di Naser e Ateve in Austria non è arrivata «illegalmente» ma trasportata in autobus dalle autorità. Con i loro bambini sono partiti da Herat in Afghanistan verso la Turchia, sul gommone verso Chios, Atene, Macedonia e da lì sono stati trasportati dalla polizia con treni e bus, da un paese all’altro, fino in Austria. «Anche noi in Austria abbiamo fatto così – dice Herman – ho lavorato a Spielfeld al confine con la Slovenia con la Croce rossa. Abbiamo assistito i rifugiati e organizzato il loro trasporto in Germania». I due ricorsi contro l’espulsione sono stati respinti, l’istanza alla Cassazione è ancora in corso.