Il cosiddetto «rock australiano» ha sempre costituito una sorta di anomalia nel panorama mondiale. Figlio diretto delle matrici anglosassoni, raramente «contaminato» da influenze autoctone, è riuscito però sempre a crearsi una propria identità, distintiva, originale, spesso riconoscibile. Se Nick Cave ne ha rappresentato, prima con i Birthday Party poi con i Bad Seeds e in chiave solista, l’espressione artistica più nota, riuscendo a bucare anche la bolla underground, se altri nomi hanno conquistato le classifiche (dai Bee Gees agli Easybeats, inglesi ma trasferitisi in Australia nell’adolescenza, agli INXS e Midnight Oil), se gli AC/DC sono riusciti a creare una vera e propria leggenda, è rimasto un vastissimo sottobosco di nomi interessantissimi che hanno lasciato veri e propri capolavori. Stiamo parlando di quelle band che mischiarono pop, punk, rock’n’roll, garage, beat e tanto altro con un gusto particolare, a cui si univa la fascinazione per qualcosa di esotico ma che tutto sommato era riconducibile agli stilemi più classici della musica rock. Federico Guglielmi, storico giornalista musicale, il cui curriculum potrebbe riempire facilmente una pagina, tra riviste, libri, conduzioni radiofoniche, produzioni musicali, pubblica per Crac Edizioni Be My Guru, un libro esaustivo e completo sull’Australia rock, relativo agli anni Ottanta e Novanta, quelli in cui la scena diede il meglio di sé. Mettendo insieme le numerose recensioni che dedicò, in tempo reale, ai dischi e alle band, uno sguardo alla vicina Nuova Zelanda, discografie dettagliate, interviste ai protagonisti e tante altre notizie e curiosità.

La copertina de libro «Be My Guru» di Federico Guglielmi

 

LE RADICI
Partendo dalle radici, il rock australiano, negli anni Sessanta, subisce l’immediata fascinazione della British Invasion, grazie ai soliti Beatles, soprattutto nel caso di Easybeats e Bee Gees. Ma è presente anche un’affollata scena mod che si evolverà in una sottocultura autoctona, quella degli Sharpies, che unirà, agli inizi degli anni Settanta, influenze mod, skinhead, glam. Divisi in gang, erano spesso inclini alla rissa e alla violenza e nelle zone costiere acerrimi nemici di hippie e surfer.
Il successo mondiale degli AC/DC, tra la metà e la fine degli anni Settanta (Highway to Hell è del 1979) coincide con l’arrivo del punk e della new wave anche da quelle parti. Curioso che l’Australia abbia prodotto quelli che possiamo ritenere tra le prime punk band al mondo. Il favoloso 45 giri I’m Stranded («singolo della settimana e di tutte le settimane» lo definì la rivista Sounds) dei Saints esce già nel 1976 mentre i Radio Birdman (con i membri successivamente protagonisti di mille altre avventure sonore di una certa rilevanza, dai New Christs agli Hitmen alla carriera di Deniz Tek), già attivi da anni, arrivano su vinile nel 1977, anticipando o comunque affiancando l’esplosione della scena punk nel mondo. Il loro esempio e la sempre maggiore diffusione mediatica del fenomeno apre le porte all’attività di decine di band, tra cui i Boys Next Door del giovane Nick Cave.
È negli anni Ottanta che la scena si affina, le band prendono dimestichezza con la propria personalità, gli strumenti, i dischi, che iniziano a piovere copiosi e a rivaleggiare agevolmente, per qualità e contenuti, con «il resto del mondo». Nomi come Celibate Rifles, Church, Died Pretty, Go-Betweens, soprattutto Hoodoo Gurus, scrivono gioielli di grandissimo valore, palesando un eclettismo e un’originalità comune a pochi. C’è chi è più vicino al punk, chi direttamente influenzato dagli anni Sessanta del garage, chi indulge verso viaggi psichedelici, chi invece guarda alla new wave. Il segreto lo svela forse Dave Faulkner degli Hoodoo Gurus in un’intervista degli anni Ottanta: «In Australia le band tendono a essere più semplici e dirette, senza esasperate ricerche della tecnica: credo che questo sia la logica conseguenza del suonare spessissimo in piccoli club dove il pubblico – che magari è pure ubriaco – vuole spontaneità, e se ti vede un tantino presuntuoso è anche capace di tirarti qualcosa addosso». Il numero di membri della scena australiana lievita esponenzialmente nel giro di poco tempo. Escono i formidabili Lime Spiders, i Triffids, gli innamorati dei profondi anni Sessanta come Stems e Moffs, i Lizard Train. E poi un’altra serie di band più pop e meno aggressive come i Sunnyboys o i Vindaloonies.

ATTITUDINE DARK
L’altro aspetto che ha caratterizzato la scena di Oz è stata una lista di gruppi che ha incarnato alla perfezione l’anima più oscura ma in modo originale e particolare, accorpando il blues più diabolico con un’attitudine dark e malefica. Detto dei Birthday Party, i grandi Beasts of Bourbon e i Scientists misero piede ai loro fuzz, scarnificarono e distorsero il blues più minimale, aggiunsero un rantolo punk, una buona dose di aiuti chimici e alcolici e infiammarono palchi e dischi con un sound che rimane tutt’ora tra i più conturbanti e inquietanti mai sentiti. Non dimenticando i seppur meno incisivi Harem Scarem, comunque degni di nota e plauso e i primi figli della lezione di Nick Cave, i Crime & The City Solution. Hard Ons e Cosmic Psychos guidano invece la componente punk della scena, in modo sguaiato, volgare e violento. Non lasceranno capolavori ma un segno indelebile in chi privilegia certi suoni e modalità di comportamento sociale, non consoni alla reciproca convivenza. Sottolinea a questo punto Guglielmi nel libro: «A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, l’emersione di tendenze più o meno nuove come grunge, noise, shoegaze, crossover e Madchester ebbe tra i suoi tanti effetti un deciso calo di interesse verso le proposte australiane da parte del pubblico più addentro all’underground. Anche laggiù, come del resto in tutto il mondo, le cose stavano cambiando: psichedelia, recupero dei Sixties e punk’n’roll avevano stancato molti, un buon numero di band “storiche” si scioglievano o si convertivano a stili più “vendibili” e quelle che rimanevano fedeli alla linea originaria accusavano spesso involuzioni qualitative».
La scena rock australiana ovviamente prosegue e continua a dare buone indicazioni. Alcuni nomi storici tornano in pista, come gli Hoodoo Gurus, autori recentemente di un album spettacolare come Chariot of the Gods, dove ritrovano l’antica verve dopo dodici anni di silenzio con quattordici nuovi brani di rara energia e intensità, sempre a base di rock’n’roll ammantato di armonie Sixties. Ma la magia e la freschezza di quegli anni sembra ormai cristallizata in un periodo d’oro difficile da fare rivivere.
Un’appendice è necessaria per andare a fare visita nella vicina Nuova Zelanda, ancora più oscura e lontana, dove però non sono mancati nomi di pregio e grande interesse. A partire dai Chills, band storica, passata attraverso lunghe peripezie e protagonista di un sound con molte affinità al concetto di psichedelia. Ma anche i folli Tall Dwarfs, i ruvidi Reptiles At Dawn, i variegati Verlaines. Addentrarsi in questi vicoli rock’n’roll sarà motivo di grande soddisfazione per chi ancora non ne ha assaporato il gusto unico e riserverà gradevolissime e inaspettate sorprese.

FUORI I TITOLI
Per una veloce propedeutica, di seguito un breve elenco di una decina di titoli da cui partire: (I’m) Stranded dei Saints, Prayers on fire dei Birthday Party, Free Dirt dei Died Pretty, Before Hollywood dei Go-Betweens, Stoneage Romeos degli Hoodoo Gurus, The Axeman’s Jazz dei Beasts of Bourbon, The Cave Comes Alive! dei Lime Spiders, Radios Appear dei Radio Birdman, Distemper dei New Christs, Roman Beach Party dei Celibate Rifles.